Toccando le stelle, una mostra accessibile anche ai non vedenti

Toccando le stelle, una mostra accessibile anche ai non vedenti

| 0

L’esposizione al rame è uno dei fattori ambientali che potrebbero determinare l’insorgenza e la progressione della malattia di Alzheimer: è quanto afferma un nuovo studio apparso sulla rivista “Proceedings of the National Academy of Sciences” firmato da Itender Singh e colleghi della Facoltà di Medicina dell’Università di Rochester, nello stato di New York. Sotto accusa, secondo l’articolo, sarebbe la capacità di questo metallo di stimolare la produzione di una proteina tossica, la beta-amiloide, e impedirne lo smaltimento.

In condizioni normali, la beta-amiloide viene rimossa dal cervello grazie all’azione di un’altra proteina, denominata proteina-1, collegata al recettore della lipoproteina (lipoprotein receptor-related protein 1, o LRP1) che si trova nell’epitelio dei capillari che arrivano al cervello. Legandosi alla beta-amiloide che si trova nel tessuto cerebrale, la LRP1 ne consente il trasporto all’interno dei vasi sanguigni e il successivo smaltimento. Se questo processo viene alterato, l’esito ultimo è l’accumulo della beta-amiloide è la formazione di placche nel sistema nervoso, caratteristiche della malattia di Alzheimer.

Per verificare il possibile coinvolgimento dell’esposizione al rame in questo processo patologico, gli autori hanno somministrato per tre mesi ad alcuni topi di laboratorio una limitata quantità di rame, pari a circa un decimo del livello limite di questo metallo nell’acqua potabile stabilito dall’Environmental Protection Agency degli Stati Uniti (il rame si trova infatti in tracce nell’acqua così come in un’ampia varietà di alimenti, dalla carne rossa ai frutti di mare, fino alla frutta secca con il guscio).

Secondo i risultati dello studio, il rame circola nel sangue e si accumula nei vasi che arrivano al cervello, e in particolare nelle cellule che costituiscono le pareti dei capillari. Queste cellule rappresentano una parte critica della barriera emato-encefalica, che regola il passaggio delle molecole da e verso il tessuto cerebrale. Nonostante si trattasse di quantità molto limitate, gli sperimentatori hanno osservato che il rame alterava la funzione dell’LRP1, inibendo al contempo la rimozione della beta-amiloide dal cervello dei topi.

In una seconda fase dello studio, i ricercatori hanno studiato l’impatto dell’esposizione al rame su modelli murini della malattia di Alzheimer, cioè su topi in cui la barriera emato-encefalica è alterata al punto da lasciar penetrare nel cervello il rame e altre sostanze. In questo caso si è osservato non solo che il rame stimolava l’attività dei neuroni che incrementavano la produzione di beta-amiloide ma anche che interagiva con la stessa proteina in modo da causare la formazione di ampi aggregati che il cervello non era più in grado di smaltire.

Questa duplice azione, che a sua volta provoca un’infiammazione del tessuto cerebrale in grado di aggravare ulteriormente la mancanza di tenuta della barriera emato-encefalica, rappresenta la prova sperimentale più evidente del ruolo del rame nella malattia di Alzheimer.

“È chiaro che, con il tempo, l’effetto cumulativo del rame è quello di danneggiare i sistemi cerebrali dai quali non può essere rimossa la proteina beta-amiloide”, ha spiegato Rashid Deane, ricercatore del Dipartimento di Neurochirurgia dello University of Rochester Medical Center (URMC) che ha coordinato lo studio. “Occorre però cautela nel valutare questi risultati perché il rame non è un elemento fondamentale per molti processi fisiologici e l’esposizione utilizzata nella ricerca è equivalente a quella consumata da molti cittadini con la normale dieta”. 

Fonte: Stateofmind.it

30/08/2013