Trasmissione L’Appetito vien parlando – Intervista a Claudio Ferrante – Presidente Associazione  Carrozzine Determinate Abruzzo

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ROMA – Con circolare n. 149 del 28 dicembre 2012 l’INPS, nell’ambito delle disposizioni relative alle rivalutazioni delle pensioni per l’anno 2013, è intervenuto a modificare il criterio del calcolo reddituale ai fini della concessione della pensione agli invalidi civili totali.
Secondo le disposizioni nella stessa contenute, il limite reddituale che fino ad oggi è stato calcolato considerando il solo reddito del beneficiario, dal 1° gennaio 2013 si dovrà essere calcolato considerando anche quello del coniuge.

La modifica ha riguardato i soli invalidi civili totali e non ha toccato altri tipi di provvidenze assistenziali.

In sostanza, si è voluto stravolgere un criterio interpretativo seguito a partite dal 1980 e confermato dallo stesso INPS con il messaggio n. 9879 del 17 aprile 2007.

La questione trae origine dalla legge 29 febbraio 1980, n. 33 che, nell’elevare i limiti reddituali per gli assegni agli invalidi civili parziali (art. 13 legge n. 118/71) e le pensioni agli invalidi totali (art. 12 legge 118/71), per mero errore, fece riferimento ai redditi personali dell’invalido solo per gli assegni e non espressamente per le pensioni.

In sede di approvazione della normativa, l’emendamento correttivo di tale errore venne trasformato in un ordine del giorno che impegnava il Governo a interpretare l’art. 12 della legge 118/71 nel senso che ai fini della concessione della pensione per gli invalidi civili totali doveva farsi riferimento ai soli redditi personali del beneficiario.

Questa interpretazione venne fatta propria dal Ministero dell’interno che, con circolare n. 25287 del 19 marzo 1981, provvide a comunicare alle Prefetture e ai Comitati di Assistenza e beneficienza i criteri reddituali da seguire per le liquidazioni delle pensioni di invalidità civile al 100%.

Allo stesso modo l’INPS, subentrato nelle competenze del Ministero, con messaggio n. 9879 del 17 aprile 2007, ha ribadito tale criterio affermando che “in linea con quanto enunciato in via incidentale dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 80/1992 e con le precedenti disposizioni del Ministro dell’interno (v. circolare n. 5 del 20/6/1980), il riconoscimento delle pensioni di inabilità civile, di cui all’art. 12, legge 30 marzo 1971, n. 118, deve avvenire – in presenza degli altri requisiti – tenendo conto del solo reddito personale del richiedente, come per gli assegni di inabilità parziale”.

Tale criterio interpretarivo è stato normalmente applicato dalla Magistratura di merito del lavoro e anche da ultimo dalla Corte di Cassazione con le sentenze nn. 18825/2008, 7259/2009, 20426/2010, nonché dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 80/1992.

Solo incidentalmente si sottolinea che numerosi sono stati gli emendamenti interpretativi presentati in Parlamento che però non hanno avuto seguito.

Da ultimo, la Corte di Cassazione con la sentenza n. 4677/2011 è andata in diverso avviso.

Su tale decisione, in spregio ad una interpretazione consolidata, si è poggiata la rivisitazione dell’INPS, costante nel perseguire quella logica repressiva nell’ambito dell’invalidità civile che ha caratterizzato la politica dell’Istituto in questi ultimi anni.

La posizione assunta dall’INPS, nel caso specifico, oltre a non essere supportata da alcuna sopravvenuta disposizione normativa e oltre a porsi in contrasto con l’orientamento ultratrentennale assunto dal Ministero dell’interno prima e dallo stesso INPS dopo, risulta illogica oltre che ingiusta e discriminatoria.

Per fare un esempio in tal senso basta considerare il caso di due invalidi, uno parziale e l’altro totale, con uguale reddito personale (es. 4.000 euro) e uguale reddito del coniuge (es. 15.000 euro). Il primo riceverà l’assegno mensile perché viene considerato il solo reddito personale, mentre il secondo, pur essendo privo di capacità lavorativa non potrà beneficiare della pensione di invalidità 100% perché sommando al proprio il reddito del coniuge supererà i limiti fissati dalla legge.

Si tratta di una disparità di trattamento che da sola giustifica la necessità di una interpretazione diversa da quella proposta dall’INPS con il messaggio 149/2012, pena la incostituzionalità dell’art. 12 della legge 118/71, in relazione all’art. 13 della legge medesima, per violazione quantomeno degli artt. 3 e 38 della Carta fondamentale.

Sulla base delle considerazioni espresse, si chiede all’INPS di sospendere gli effetti della circolare n. 149 del 28/12/2012, al Ministero del lavoro e delle politiche sociali nonché al Consiglio di indirizzo e vigilanza dell’INPS di esercitare i poteri di controllo e di intervento sul provvedimento in questione, nonché ai membri del Palamento di adottare ogni misura idonea, anche normativa, diretta ad impedire questo ulteriore atto che offende la dignità dei soggetti affetti da una invalidità totale e si aggiunge a tutti quegli altri che stanno smantellando lo Stato sociale e trasformando i disabili da persone da assistere ed aiutare in malfattori da combattere.

Giovanni Pagano, Presidente nazionale Anmic

Fonte: Disablog.it

08/01/2013