Un cambiamento culturale forte

Un cambiamento culturale forte

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di Andrea Pancaldi
Alcune riflessioni a dir poco amare su un Sottosegretario all’Economia che chiede dati «relativi all’effettivo numero di disabili gravi e gravissimi presenti in Italia», sulla situazione di tante persone in Italia almeno altrettanto grave di quella dei malati di SLA (sclerosi laterale amiotrofica) e sul “mito del falso invalido” che sopravvive al di là della verità, come gli untori di manzoniana memoria

Il sottosegretario all’Economia Gianfranco Polillo ha chiesto che siano «forniti al Ministero i dati relativi all’effettivo numero dei disabili gravi e gravissimi presenti in Italia», nonostante che di dati ne esistano eccome e siano stati prodotti già da molto tempo…
Titola l’Agenzia «Redattore Sociale»: Sla, la protesta ha successo: Il fondo raddoppia. Sospeso lo sciopero della fame, e poi, nel testo, «Il sottosegretario all’Economia Gianfranco Polillo chiede però che siano forniti al ministero i dati relativi all’effettivo numero dei disabili gravi e gravissimi presenti in Italia». E ancora: «A raccogliere tali numeri sarà la Commissione d’inchiesta sul servizio sanitario nazionale, il cui presidente è il senatore Ignazio Marino […] secondo Marino per raccogliere i dati, in collaborazione con le Asl, dovrebbero essere sufficienti cinque giorni», e infine, «Il comitato 16 novembre che rappresenta i malati di Sla: “possiamo anticipare in ogni caso che i malati gravissimi in Italia sono almeno 30mila”».
A parte i cinque giorni su cui Marino, che è persona seria e competente, ha forse avuto uno slancio eccessivo di generosità verso la rapidità di risposta delle Commissioni Medico-Legali delle ASL, la domanda che ci si pone è: ma cosa ci sta a fare un Sottosegretario che va ad una riunione su un tema, alla ribalta da decine di giorni su TV e giornali, e non sa i dati relativi a quel tema a cui, ovviamente, vanno parametrate le risorse da impiegare? Né conosce, parrebbe, in cosa si sostanziano gli aggettivi sostantivati di grave e gravissimo?
L’INPS e l’ISTAT, nei loro siti, hanno i dati di chi è stato riconosciuto invalido al 100% con diritto all’accompagnamento, in quanto «necessità di assistenza continua non essendo in grado di svolgere gli atti quotidiani della vita».
Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha editato ben tre Rapporti sulla non autosufficienza in Italia, zeppi di dati (2007, 2010, 2011) ed esistono non meno di altri sette, tra report e ricerche in materia, uscite dal 2007 ad oggi da fonti autorevoli.
Il Ministero della Funzione Pubblica (2009) ha compiuto una ricognizione sull’utilizzo dei congedi lavorativi (ex legge 104/92), per i quali è prevista la certificazione di handicap in situazione di gravità (certificazione su cui è difficilissimo che esistano dati nazionali), da cui emerge che sono almeno 350.000 le persone così certificate che usufruiscono di assistenza da parenti.
Il Ministero della Salute (dati epidemiologici), l’associazione AISLA (Associazione Italiana Sclerosi Laterale Amiotrofica), la banca dati mondiale sanitaria bibliografica Pub-med saranno ben in grado di dire statisticamente quanti sono, più o meno, i malati di SLA in Italia che, nel dibattito di questi mesi, parrebbero essere quelli che vengono etichettati sotto il termine “gravissimi” (per il sito dell’AISLA, la SLA ha un’incidenza di 6 su 100.000, per quello di Sla-italia di 1 su 100.000, per Wikipedia, che cita un articolo del 2010 di una rivista scientifica americana, di 2,5 su 100.000).

Due parole, poi, su gravi e gravissimi e sulla loro ambigua natura di aggettivi e sostantivi al tempo stesso.
Gli invalidi civili – compresi i ciechi civili e i sordi civili – devono essere riconosciuti tali da una Commmissione dell’ASL. I “gravi” devono essere riconosciuti tali da una commissione dell’ASL che rilascia il certificato di persona in situazione di handicap con connotazione di gravità (articolo 3, comma 3, della Legge 104/92), detta anche “handicap grave”.
I “gravissimi” si può ragionevolmente convenire che esistono, ma per ora solo nel dibattito sociale, sanitario, culturale, politico e  nelle sperimentazioni di alcune Regioni (si veda ad esempio la Delibera di Giunta della Regione Emilia Romagna 2068/04), ma non sono ancora una categoria giuridica, né possono essere limitati ai soli malati di SLA (un tetraplegico da incidente stradale? Tante persone con esiti di coma? Tante persone con paralisi cerebrali infantili gravi? Tante forme gravi di distrofie muscolari? Tanti anziani che assommano deficit motori a demenze gravi?).
E soprattutto essere gravi o gravissimi non dipende solo dalle caratteristiche della patologia, ma anche da un contesto ambientale senza barriere, solidale e accogliente culturalmente, dai servizi sociosanitari che esistono o meno, dalla disponibilità di ausili e tecnologie per ridurre l’handicap e di sistemi di trasporto, da una scuola accogliente e che non deleghi solo all’insegnante di appoggio, dalle possibilità economiche e culturali dell’interessato e della famiglia.
Ha ragione la FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap), quando sostiene che la cultura sulla disabilità sta andando indietro, al pari della competenza di politici e amministratori sui temi della disabilità e della non autosufficienza che invece, nei numeri, va avanti. Ma anche le associazioni forse su qualcosa debbono riflettere.

In contemporanea, poi, arriva sulla stampa anche l’eco della presentazione del Bilancio Sociale 2011 dell’INPS. Un paio di titoli: Inps: nel 2011 nuove pensioni giù del 14, 5%, scende invalidità e Inps, diminuite del 10,3 per cento le pensioni d’invalidità civile, salvo poi leggere nei testi degli articoli – anche se solo in parte degli stessi – che a calare è la spesa, senza che si citino i numeri dei percettori che invece, sempre stando ai dati dell’INPS (Bilancio Sociale 2011 e Statistiche Assistenza e Previdenza 2010, entrambi disponibili nel sito dell’Istituto), crescono, passando da 2,6 a 2,7 milioni.
Ancora una volta, quindi, nella stampa il dato viene generalizzato e banalizzato e invece che fungere da sostegno all’analisi, la sostituisce tout-court, senza spiegare nulla della dinamica “spesa/numero pensioni/numero pensionati/disabili adulti/disabili anziani” e di come, nelle retoriche del “falso invalido”, influiscano:
– i dati del rallentamento dei processi legati all’invalidità civile con la riforma del 2010;
– i dati dei veri falsi invalidi scoperti e denunciati e a cui sono state tolte le pensioni (nemmeno 2.000, parrebbe di capire dai pochi e frammentari dati usciti, compresi i ciechi che guidano, che ogni due mesi fanno capolino in tutte le TV…);
– il fatto se le cifre comunicate comprendano o no anche il contenzioso legale in corso che – si sa – dà poi torto all’INPS nella maggioranza dei casi (con ripristino delle pensioni, arretrati e interessi);
– il dato su quante sono state le pensioni revocate per diminuzione della percentuale riconosciuta (e sarebbe interessante avere anche dati qualitativi sui tassi di riduzione);
– il dato, nel caso delle diminuazioni di percentuali, se esse siano opera della Commissione ASL + INPS o, in seconda istanza, della sola INPS.

Insomma nonostante la stessa Presidenza dell’INPS avesse dichiarato al «Corriere della Sera» nel febbraio del 2011 che i veri falsi invaldi che erano stati denunciati erano all’epoca 1.436 (lo 0,06% dei pensionati di invalidità civile), il mito rimane perché funzionale all’età della crisi, un po’ come l’untore di manzoniana memoria.

Fonte: Superando.it

23/11/2012