Un milione i malati di Alzheimer a carico delle famiglie. Ecco il film “Pollicino”

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I doppi ostacoli che deve affrontare chi desidera avere un figlio: dalle barriere architettoniche alla carenza di servizi, fino ai pregiudizi anche degli stessi sanitari

di Maria Giovanna Faiella

Combattute tra il desiderio di avere un figlio e la paura di non farcela a crescere il piccolo, oppure di trasmettergli la malattia. Oltre alle barriere fisiche e culturali che una persona con disabilità incontra ogni giorno, altri ostacoli si aggiungono durante e dopo il periodo di gravidanza di una donna che vuole diventare madre: dai lettini irraggiungibili per la visita ginecologica o per l’ecografia, a sale parto e punti nascita non accessibili, dalla carenza di servizi che accompagnano e seguono il periodo della maternità, ai pregiudizi che tuttora resistono nei confronti di chi ha una disabilità e decide di mettere al mondo un figlio. Capita anche che siano gli stessi dottori a scoraggiare il desiderio di maternità, a volte senza motivo.

La situazione in Italia

Ma quali sono i principali ostacoli che incontra una donna con disabilità che desidera diventare mamma? Ad approfondire le paure, i dubbi, i bisogni delle donne che intendono intraprendere una gravidanza è una ricerca che sta svolgendo una laureanda in ostetricia dell’Università di Sassari. «Durante il tirocinio in ospedale ho incontrato donne con disabilità che avevano deciso di intraprendere la gravidanza nonostante la paura di trasmettere la malattia al nascituro, altre che avrebbero voluto partorire spontaneamente e non col cesareo, altre donne che avrebbero voluto un sostegno da parte dei sanitari – racconta Susanna Usai – . Così ho deciso di svolgere la tesi sul supporto che può dare l’ostetrica alle donne con disabilità fisica che desiderano diventare mamme, anche perché mancano studi italiani sul tema e, nella maggior parte dei casi, il personale sanitario non sa come fornire loro un aiuto concreto».

Un questionario per capire

Il questionario, che si può compilare in forma anonima, mira a dar voce alle donne, a capire in quali barriere fisiche e mentali ancora s’imbattono se decidono di diventare mamme, a comprendere le loro difficoltà (se ce ne sono state) nell’intraprendere la gravidanza, durante il post-partum, al ritorno a casa col neonato. «Il personale sanitario nella maggior parte dei casi non sa come comportarsi – sottolinea Usai – . Ma proprio partendo dal loro vissuto è possibile capire di cosa hanno più bisogno, in che modo noi operatori possiamo migliorare l’assistenza e dare un sostegno».

«Tutto parla di te»

A volte le risposte ai dubbi e alle paure di chi decide di aver un bambino arrivano proprio dal confronto e dallo scambio di emozioni con donne che hanno già vissuto quest’esperienza. In quest’ottica l’Aism, Associazione italiana sclerosi multipla, ha attivato già da qualche anno uno sportello che si chiama “Tutto parla di te” per le donne che decidono di intraprendere un percorso ricco di emozioni ma anche impegnativo. Alle mail rispondono due mamme con sclerosi multipla che ascoltano le storie e condividono la loro esperienza sia con chi non ha ancora scelto di avere un figlio, sia con chi è già genitore.

Risponde Deborah

Deborah Chillemi aveva 28 anni quando le hanno diagnosticato la sclerosi multipla, malattia che colpisce tra i 20 e 40 anni, soprattutto le donne. «Dopo la paura e lo sconforto iniziale, ho capito che non potevo lasciarmi sconfiggere dalla malattia e rinunciare ai miei progetti di vita, come avere dei figli», racconta. Due anni dopo la diagnosi, lei e il marito hanno avuto il primo figlio. «C’è stata una riacutizzazione della malattia nel primo trimestre della gravidanza – ricorda Deborah –. Le ricadute sono inaspettate ma, nonostante le incognite, non ho rinunciato ad avere altri due figli, anche se alla terza gravidanza i neurologi non erano d’accordo e anche mio marito aveva dei dubbi». Deborah è una delle due mamme che rispondono al servizio mail “Tutto parla di te”, attivato dall’Associazione italiana sclerosi multipla. «Dare un supporto ad altre donne mettendo a disposizione la propria esperienza riempie di gioia – dice – . Qualunque sia la scelta, è importante che la malattia non costituisca una barriera mentale, un limite al proprio desiderio di maternità. La sclerosi multipla è una sfida che si combatte ogni giorno: personalmente ho deciso che io sto avanti e lei sta indietro, non le permetto di condizionare la mia vita».

Servizi carenti

Simona Mazza ha ricevuto la diagnosi di sclerosi multipla subito dopo la nascita della seconda figlia. «Ero ancora autonoma quando ho avuto la prima bambina – racconta – . Poi sono iniziati i problemi: la malattia è imprevedibile e le ricadute si presentano all’improvviso. Sono rimasta completamente bloccata per un anno e mezzo, poi ho ripreso a camminare ma non guido più e non riesco a fare tutto come prima. Un giorno una delle mie figlie mi ha chiesto: “mamma muori?”. Ho dovuto rassicurare entrambe, ma senza raccontare frottole». Fare la mamma è impegnativo, lo è ancor più per una donna con disabilità. «Il più delle volte non riceviamo nessun tipo di sostegno – dice Simona – . Usufruivo di un progetto di vita indipendente che mi permetteva di essere autonoma con l’aiuto dell’assistente che mi accompagnava in ospedale, a prendere le bambine a scuola, a fare la spesa. Da un giorno all’altro l’hanno interrotto: comune e servizi sociali dicono che non ci sono fondi. Ma se sei costretta ad andare in ospedale anche solo per una visita, qualcuno deve occuparsi dei tuoi figli. E allora c’è bisogno dell’aiuto di tutti: partner, genitori, amici».

Sintomi di felicità

Giulia Alighieri è mamma di Andrea, che ora ha 14 mesi. «Sia io che mio marito (il tenore professionista Marco Voleri ndr) abbiamo la sclerosi multipla – racconta – . C’era il rischio che anche nostro figlio potesse ammalarsi, ma non ci siamo lasciati intimidire dalle percentuali e non ha vinto la paura: il desiderio di un figlio ti fa sentire più forte, soprattutto se hai accanto la persona giusta, che ami e condivide le tue scelte». Non sono mancate le difficoltà, ma nemmeno il coraggio. «Ho avuto una gravidanza stupenda ma purtroppo ho avuto una ricaduta dopo il parto – ricorda Giulia – . E proprio in quel periodo mio marito ha avuto un incidente ed è stato operato. Sono stati mesi molto intensi, ma il bambino ci ha dato una forza particolare, che ci porta a cercare ogni giorno i sintomi della felicità possibile».

Fonte: Corriere.it

05/08/2016