La scuola sa essere davvero inclusiva per i bambini autistici? O meglio puntare su percorsi dedicati? Il servizio in edicola su Vita che, con gli interventi di Franco Bomprezzi e Gianluca Nicoletti, prova a dare delle risposte.
Chi ci guarda da fuori l’ha detto senza giri di parole: «voi italiani avete incluso i bambini autistici nelle classi al pari dei termosifoni». Theo Peeters è un neurolinguista belga e pochi come lui, in tutto il mondo, hanno studiato i disturbi dello spettro autistico. Il suo giudizio è una pugnalata al cuore per quella scuola dell’inclusione che dell’Italia è sempre stato il vanto, ma che da più parti ora si sta mettendo in discussione. Non è un caso che sia proprio l’autismo a far emergere le falle del modello, perché siamo tutti impreparati e spaventati di fronte a quella che Se ti abbraccio non aver paura (fortunato libro scritto dal papà di un ragazzino autistico) definisce una vita «diluita nel mezzo e troppo densa ai lati». Basti allora pensare al recente arresto di due maestre in provincia di Vicenza, che nella “stanza del sostegno” (che troppo spesso è una “stanza di compensazione”) davano dell’«animale» a un ragazzone colpevole di colorare uscendo dai contorni delle figure, piuttosto che all’idea del Comune di Palermo di istituire una classe speciale per bambini autistici. La retromarcia è stata immediata, ma il dibattito è aperto.
Undici prof in un anno.
Luigi Mazzone fa il neuropsichiatra infantile al Bambin Gesù di Roma. Racconta della «frustrazione » sua e delle famiglie dinanzi a insegnanti che ancora liquidano i comportamenti oppositivi di un ragazzino autistico come «maleducazione» e che «bocciano anche 2 volte perché “deve capire che non può comportarsi così”». Ciononostante è convinto che «l’idea di creare classi speciali è solo una scorciatoia per tamponare un sistema che non funziona, ma che può essere migliorato». Che l’inclusione sia un obiettivo raggiungibile, non un’utopia, lo provano i 90 ragazzini autistici che quest’estate con la sua associazione, Progetto Aita, ha inserito nei summer camp per tutti organizzati dalle più prestigiose società sportive di Catania, Milano e Roma: «C’è un tutor per ogni bambino, uno psicologo specializzato sull’autismo, che indossa la stessa divisa degli istruttori sportivi. Non c’è motivo di “marchiare” il bambino, è essenziale però conoscerlo prima e progettare nei dettagli il suo inserimento», spiega. Benedetta Demartis invece è la combattiva presidente di Angsa Novara. Sua figlia ha 22 anni e ha appena finito le magistrali: le è capitato di cambiare undici insegnanti di sostegno in un solo anno, che hanno alzato bandiera bianca. «La scuola di tutti è l’opzione migliore, ma oggi l’inclusione è solo sulla carta», dice. Dal 2002 a Novara l’associazione messa in piedi da «cinque genitori arrabbiati» offre un punto di riferimento non solo per la diagnosi e la terapia, ma anche per accompagnare bambini e famiglie nell’inserimento scolastico. La cosa inspiegabile, però, sono le resistenze che alcune scuole pongono: «Capita che alcuni insegnanti vivano la nostra come un’intromissione indebita. Ma è solo quando si riesce a formare l’intera rete che i risultati arrivano, straordinari ». Questo percorso, oggi, grava completamente sulle tasche dei genitori, con cifre che sfiorano anche i mille euro al mese: «Serve una legge nazionale che obblighi le Asl a farsi carico di questi servizi e metta fine alla terribile ingiustizia di sapere che tuo figlio potrebbe avere un futuro migliore, ma tu non hai i soldi per darglielo».
Iniziare prima.
In Parlamento una proposta di legge c’è. L’ha presentata alla Camera Franca Biondelli (Pd), riproponendo il testo che nella passata legislatura si era già iniziato a esaminare: «Il primo nella storia della Repubblica che nomini l’autismo», dice. Al Senato invece si sta muovendo Manuela Serra, insegnante di sostegno del M5S, che nella Commissione Cultura ha dato il via a un tavolo di lavoro per l’autismo che valorizzi proprio la scuola. I numeri dicono che una legge è necessaria: benché in Italia non esista un dato certo, sono almeno 400mila le famiglie con un ragazzo autistico, con 3 casi ogni mille bambini. Carlo Hanau insegna all’Università di Modena e Reggio Emilia e coordina uno dei recenti master voluti dal Miur per formare gli insegnanti sull’autismo: corsi che coinvolgeranno quasi 2mila professionisti. «È una rivoluzione, perché ad oggi il problema è l’insufficiente specializzazione degli insegnanti di sostegno, insieme alla mancanza di supervisione, necessaria anche per il docente più qualificato. Le “scuole polo” previste sette anni fa? Mai realizzate». E se negli Usa ci sono le liste d’attesa per essere messi in classe con un compagno autistico (pare che il rendimento si impenni), Hanau sottolinea che nessun Paese al mondo «prevede il rapporto uno a uno che abbiamo in Italia: si tratta di qualificare le risorse che già paghiamo». Il suo modello ideale quindi vede più specializzazione, l’obbligo di portare l’alunno fino alla fine del ciclo scolastico, una supervisione forte, un intervento precoce. La carta decisiva è proprio l’ultima: «l’autismo grave viene diagnosticato a 18 mesi. Fino ai sei anni la classe non esiste, il problema del “dentro” o “fuori” non si pone nemmeno. Devi lavorare lì, con interventi comportamentali realizzati all’interno della scuola, facendo una socializzazione…
Fonte: Vita.it
08/08/2013