«“Liberare” il prima possibile le persone con disabilità che vivono in situazioni inumane e degradanti; individuare con certezza le strutture da ritenere segreganti e quindi da chiudere o convertire; delineare nuovi modelli inclusivi di servizi e sostegni per l’abitare»: sono queste le tre impegnative linee d’azione fissate dalla recente Conferenza di Consenso di Roma, promossa dalla FISH, primo appuntamento che abbia visto nel nostro Paese il movimento delle persone con disabilità lanciare un’effettiva sfida politica, culturale, scientifica e organizzativa sul tema della segregazione.
«La prima sfida è immediata: in Italia persistono servizi e strutture residenziali dove le persone con disabilità e gli anziani non autosufficienti vivono in condizioni segreganti e subiscono trattamenti inumani e degradanti. Il consolidato sospetto che i fatti di cronaca, le indagini delle autorità competenti, le azioni penali rappresentino solo una minima parte delle situazioni vissute impone di chiedere a gran forza un’immediata verifica e un impegno politico a chiudere e convertire queste strutture»: è questo il messaggio forte lanciato nei giorni scorsi a Roma, durante la Conferenza di Consenso intitolata Disabilità: riconoscere la segregazione (se ne legga anche la nostra presentazione), promossa dalla FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap), nell’àmbito del progetto denominato Superare le resistenze, partecipazione alla società su base di uguaglianza con gli altri delle persone con disabilità, con l’obiettivo di restituire centralità a un tema drammatico, troppo spesso considerato marginale o eccezionale. E in tal senso va sottolineato come l’appuntamento di Roma sia stato certamente il primo che abbia visto il movimento delle persone con disabilità lanciare una sfida politica, culturale, scientifica e organizzativa sulla segregazione.
Qualche dato prodotto dalla FISH: «Sono 273.316 le persone con disabilità ospiti dei presìdi residenziali socio-assistenziali e socio-sanitari. Oltre l’83% sono anziani non autosufficienti, che nella quasi totalità dei casi vivono in strutture che non riproducono le condizioni di vita familiari. Nel 2016, tra le violazioni penali più frequenti, l’Arma dei Carabinieri ha rilevato 114 casi di maltrattamenti, 68 di abbandono d’incapace, 16 di lesioni personali e 16 di sequestro di persona».
«Accanto a questa brutale e conclamata segregazione – viene poi ricordato dalla Federazione – si rilevano altre modalità più subdole e ugualmente inumane, pur senza che da ciò derivino condizioni di vita materiali degradanti, maltrattamenti e violenze. Sono gli àmbiti in cui si ripropongono la separazione, l’isolamento, la contrazione delle elementari libertà individuali. Servizi in cui prevale una concezione sanitaria e ospedaliera, che trasforma chi ne è ospite in “paziente”, “malato” e non più in persona con il diritto di vivere normalmente la propria vita e le proprie relazioni interpersonali. E dalla Conferenza di Roma è emerso come queste “residenze totali” siano soprattutto rivolte alle persone con limitazioni di natura intellettiva o di salute mentale».
Altro fatto di particolare importanza emerso dalla Conferenza di Consenso, è che tuttora i criteri di accreditamento delle strutture sono prettamente incentrati sui requisiti strutturali, che non possono ovviamente riuscire a distinguere i servizi che lavorano per l’inclusione da quelli che si possono definire come segreganti.
«Abbiamo dunque la convinzione – viene dichiarato dalla FISH – che i criteri di accreditamento debbano invece riguardare sempre più processi “interni” alle strutture, focalizzati cioè sulla personalizzazione dei progetti di vita, sui supporti, sull’interazione con il territorio e le comunità locali. Ed è ora di modificare anche le impostazioni “finanziarie”, centrandole non sulla copertura delle rette e quindi sull’autoconservazione dei servizi stessi, ma orientandole alla definizione delle risorse necessarie alla realizzazione del progetto di vita della persona con disabilità, rendendo esigibile la libertà di scelta della stessa persona con disabilità, favorendone la deistituzionalizzazione e la progressiva crescita dell’autonomia personale».
La due giorni di Roma si è chiusa pertanto con una certezza, vale a dire l’apertura effettiva di un cantiere basato su tre impegnative linee d’azione: “liberare” il prima possibile le persone con disabilità che vivono in situazioni inumane e degradanti; individuare con certezza le strutture da ritenere segreganti e quindi da chiudere o convertire; delineare nuovi modelli inclusivi di servizi e sostegni per l’abitare.
Su quest’ultima linea d’azione, la qualificata giuria che ha supportato la Conferenza ha apprezzato lo sforzo di individuazione dei rischi di segregazione degli attuali servizi residenziali, suggerendo tuttavia di proseguire nel lavoro di dettaglio, rovesciandone in un certo senso la logica, definendo cioè indicatori e check-list che promuovano la qualità dei servizi per l’abitare, valorizzando sia il lavoro prodotto dall’Osservatorio Nazionale sulla Disabilità, sia la recente Norma UNI 11010:2016, che fissa appunto indicazioni («finalmente aderenti alla Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità», come sottolineato dalla FISH), sui Servizi per l’abitare e servizi per l’inclusione sociale delle persone con disabilità.
Il lavoro avviato proseguirà ora guardando innanzitutto al livello politico e istituzionale, con richieste immediate e relative alle emergenze umane. Qui la FISH confida di poter contare anche sul supporto del Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale, che ha partecipato alla Conferenza di Roma, annunciando un lavoro di studio e concreta verifica sul tema.
In parallelo proseguirà naturalmente l’approfondimento tecnico e scientifico sui modelli organizzativi, i criteri e le elaborazioni, cercando un confronto più stretto anche con le Regioni e i Comuni. (S.B.)
Per ulteriori informazioni e approfondimenti: ufficiostampa@fishonlus.it.
Fonte: superando.it
20/06/2017