Giocare a calcio con le stampelle: storia, sogni e realtà della Nazionale di calcio amputati

Giocare a calcio con le stampelle: storia, sogni e realtà della Nazionale di calcio amputati

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Una qualificazione ai prossimi mondiali, una grande tenacia e sogni importanti: il capitano della Nazionale Italiana Calcio Amputati si racconta

Per una Nazionale che fallisce miseramente (a detta di tutti gli addetti ai lavori) il proprio obiettivo ce n’è un’altra che lo centra grandiosamente, entrando di diritto nella storia dello sport italiano: stiamo parlando della Nazionale Italiana Calcio Amputati, che a differenza dei più blasonati, ricchi e famosi cugini del calcio professionistico, ha ottenuto la qualificazione ai prossimi Mondiali, in programma a Guadalajara (Messico) a novembre 2018, grazie al quinto posto finale ai recenti Campionati Europei di Istanbul (Turchia).
La squadra, costituita ufficialmente nel 2012 sotto la giurisdizione del Centro Sportivo Italiano, è viva soprattutto grazie all’iniziativa personale di Francesco Messori, un ragazzo di Correggio (RE) che, come tantissimi altri coetanei di tutto il mondo, ha coltivato una passione irrefrenabile per il calcio nonostante sia senza la gamba destra fin dalla nascita. Francesco, che ora ha 19 anni ed è il Capitano della Nazionale, ci ha raccontato in questa intervista la sua esperienza.

Partiamo dall’inizio: Francesco, a soli 19 anni hai contribuito, praticamente da solo, alla nascita del movimento calcistico amputati in Italia. Raccontaci la tua storia…
Pur essendo nato senza la gamba destra, come tanti altri ragazzi ho da sempre una grande passione per il calcio: iniziai a giocare con i normodotati all’età di otto anni nei campionati amatoriali CSI facendo il portiere grazie ad una protesi che, alla lunga, non mi faceva sentire del tutto a mio agio perché non riuscivo a fare i movimenti che avrei voluto; proprio per questo, dopo qualche tempo decisi diaccantonarla in favore delle stampelle. Purtroppo, però, queste ultime mi permettevano di allenarmi ma non di giocare i campionati ufficiali perché considerate pericolose. La situazione si sbloccò definitivamente quando l’ex Presidente Nazionale del CSI Massimo Achini venne a conoscenza della mia storia, cambiando appositamente il regolamentoper permettermi di giocare. Quello fu primo passo verso la mia piena integrazione nel calcio dei normodotati, anche se non ero del tutto soddisfatto perché, comunque, mi sarebbe piaciuto confrontarmi con altri ragazzi amputati con la mia stessa passione.
Nel 2011, dopo aver maturato la convinzione di voler creare qualcosa dal nulla, aprii un gruppo Facebook per condividere con quei ragazzi il sogno della Nazionale: in poco tempo riuscii a radunare un gruppo sufficiente di giocatori per fondare una squadra vera e propria, iscritta regolarmente al CSI. Attualmente siamo in venti, provenienti da dodici regioni diverse: le tappe fondamentali della nostra storia sono state la prima amichevole, in Francia nel 2013, i Mondiali del 2014 in Messico (ad invito, ndr), i tornei a sei nazioni in Polonia dal 2014 al 2016 e, arrivando al presente, i famosi Europei di Turchia che ci hanno permesso di qualificarci ai prossimi Mondiali.

Come cambia il regolamento rispetto al calcio tradizionale?
I giocatori di movimento devono essere amputati a un arto inferiore mentre i portieri, per rendere più equilibrato il gioco, devono parare con una mano sola quindi devono essere amputati ad un arto superiore: avendo due gambe, a loro non è consentito uscire dall’area di rigore in quanto sarebbero estremamente più veloci degli altri giocatori (nel caso, verrebbe fischiato rigore con conseguente ammonizione o espulsione a seconda delle circostanze). Per quanto riguarda gli ausili, le stampelle possono essere utilizzate solamente come appoggio e non per colpire la palla; sono escluse invece le protesi, di conseguenza i bi-amputati non possono partecipare.
Le due squadre sono composte da 7 giocatori che si affrontano in un campo di dimensioni proporzionate, con porte più piccole e senza fuorigioco.

A livello amministrativo/burocratico come siete organizzati?
Nel giro di qualche mese dovremmo passare ufficialmente dal CSI a una delle federazioni sportive affiliate al Comitato Italiano Paralimpico. A livello internazionale il calcio per amputati è riconosciuto da FIFA e UEFA ed è gestito, a livello pratico, dalla WAFF (World Amputee Football Federation). Pur non essendo riconosciuto come sport paralimpico, dovrebbe essere inserito comedisciplina dimostrativa a Tokyo 2020, per poi essere definitivamente integrato a partire dai Giochi di Parigi 2024. Dalla FIGC, invece, non si è mai fatto vivo nessuno anche se ci piacerebbe iniziare a collaborare con loro per far evolvere tutto il movimento, ad esempio per avere una sede fissa di lavoro.

Avete un allenatore che vi segue? Da chi è composto lo staff tecnico?
Il nostro allenatore è la persona che mi segue fin da quando ero piccolo e mi ha permesso di realizzare il mio sogno di giocare a calcio: si chiama Renzo Vergnani e, fin da subito, mi ha accolto e accettato come un vero giocatore nonostante la mia disabilità; per riconoscenza, quando abbiamo fondato la Nazionale, ho deciso di portarlo con me in questa avventura, coinvolgendolo anche come Presidente. Il resto dello staff tecnico è composto dall’allenatore in seconda Paolo Zarzana e dal preparatore dei portieri Emiliano Gronchi.

Per quanto riguarda gli allenamenti, considerata la distanza tra di voi, come vengono svolti?
La lontananza, purtroppo, ci crea non pochi problemi: generalmente facciamo un raduno una volta al mese in diversi posti d’Italia, organizzato da noi o da chi ci invita. Negli altri periodi dell’annoognuno si allena a casa propria, in parte da solo o chiedendo ospitalità a società locali.

Che ruolo fai? Che tipo di giocatore ti definisci?
Sono un esterno di centrocampo, indifferentemente a destra o sinistra. Come giocatore mi definiscopiù assist-man che goleador, mi piace giocare la palla, tifo Barcellona e mi ispiro al loro stile di gioco.

Che effetto ti fa essere capitano della Nazionale?
Sicuramente è un ruolo molto importante da cui derivano grandi responsabilità; sono quindi molto orgoglioso perché non è facile saper rappresentare al meglio, sempre e comunque, la Nazionale: cerco sempre di dare lo stimolo giusto ai miei compagni di squadra.

Siete riusciti laddove i calciatori professionisti hanno fallito, qualificandovi per il Mondiale attraverso il quinto posto agli Europei, ci avete pensato?
Noi della Nazionale Italiana Calcio Amputati giochiamo solamente per passione e non prendiamo nessuno stipendio. La mancata qualificazione dei professionisti, indubbiamente, ci ha permesso di ricevere una visibilità che, forse, non saremmo mai riusciti ad ottenere altrimenti; speriamo che tutto questo serva a cambiare le cose in Italia, ad aprire una nuova strada per la crescita del nostro movimento. L’ormai famoso video di Fan-Page, ad esempio, ci ha fatto fare il boom, con migliaia di visualizzazioni e condivisioni anche da parte di giocatori di Serie A: essendo una delle poche nazionali a rappresentare l’Italia ai Mondiali di calcio è nostro dovere non deludere le aspettative di chi ci segue.

Dopo il boom, si è fatto vivo qualcuno del calcio “che conta”?
Il Presidente dell’Associazione Italiana Calciatori Damiano Tommasi, che già conoscevamo, due settimane fa ci ha invitato ad assistere al Gran Galà del Calcio. Non ci hanno chiamato sul palco per una presentazione vera e propria ma abbiamo avuto modo di parlare con calciatori del calibro di Marek Hamsik, Capitano del Napoli; già nel 2012, invece, conobbi il Capitano della Roma Francesco TottiLa persona che ci è stata più vicina, però, è Marco Tardelli, conosciuto durante la mia ospitata alla Domenica Sportiva e a La Vita in Diretta: grazie a lui, che è testimonial dell’ONG Associazione Diplomatici, avrò l’opportunità di parlare sul palco dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite a New York a marzo 2018.

Tornando agli aspetti tecnici, è stata dura?
Devo ammettere con la massima sincerità di esserci superati, anche se puntiamo sempre al massimo non ci aspettavamo affatto di arrivare così in alto agli Europei. Il quinto posto è maturato dopo la sconfitta ai quarti di finale contro la Spagna: con il senno di poi è stato meglio uscire perché ci ha permesso di ottenere due vittorie, importantissime per aumentare la nostra consapevolezza, contro squadre più abbordabili come Francia e Irlanda. Fossimo andati avanti, probabilmente, saremmo stati sconfitti in semifinale.

Qual è il vostro obiettivo per il Mondiale?
Come tutti non staremo a guardare, il nostro obiettivo sarà quello di vincerli anche se arrivare tra le prime cinque sarebbe già un grande risultato. I favoriti sono Turchia (Campione d’Europa), Inghilterra, Polonia, Russia (Campione Mondiale in carica) e Angola (finalista agli ultimi Mondiali).

Qual è il tuo obiettivo sportivo personale?
Il mio obiettivo principale, così come per i miei compagni di squadra, è quello di diventare professionisti, cosa difficile ma non impossibile, nel frattempo continuerò a studiare Scienze Motorie anche se la Nazionale richiede un impegno molto importante. L’altro sogno sarebbe quello di partecipare alle Paralimpiadi, vedremo cosa succederà…

Come sono messi all’estero, esistono dei campionati veri e propri?
In Turchia sono molto avanti, tanto da avere più di 400 atleti con due campionati professionistici: anche se è brutto da dire, le guerre recenti hanno portato a un incremento di ragazzi giovani amputati che lo stato turco, di grande spirito nazionalista, vuole riconoscere nel mondo del calcio e considerare alla pari degli atleti normodotati. Tra le altre nazioni, so che esiste un campionato inRussia, mentre in Inghilterra sono le stesse società del calcio professionistico a promuovere sotto il loro brand squadre di ragazzi amputati.

Alla luce di tutte queste considerazioni, com’è possibile diffondere il movimento?
Questo è un aspetto molto complicato perché, anche se grazie alla visibilità dell’ultimo periodo qualcuno si è fatto avanti, non è facile convincere ragazzi che si trovano improvvisamente senza un braccio o senza una gamba a giocare a calcio. La cosa fondamentale è far passare il concetto che, nonostante l’impatto difficoltoso con questo sport, sarebbe importante non mollare perché con l’allenamento e l’esperienza si impara in fretta.

Cosa diresti a un ragazzo che non fa sport per consigliare il calcio per amputati?
Se ha la grande passione per il calcio gli direi di abbracciare subito la grande famiglia della Nazionale Italiana Calcio Amputati. Far parte di questo gruppo è bello non solo dal punto di vista sportivo ma anche da quello umano perché aiuta, con leggerezza, a superare la vergogna e gli ostacoli mentali riconducibili alla propria condizione di disabilità.

Fonte: Disabili.com

22/12/2017