La consigliera che non poteva accedere autonomamente agli uffici né alla sala consiliare ha subìto una “discriminazione indiretta”.
Risarcisce i danni al disabile il Comune che indirettamente lo discrimina perché non elimina le barriere architettoniche che impediscono l’accesso agli uffici e alla sala del consiglio. La Cassazione (sentenza 3691) respinge il ricorso del Comune che aveva vinto in primo grado, ma perso in appello.
Il “trattorino”.
A citarlo in giudizio era stata una ex consigliera che, a causa del suo handicap, non poteva da sola entrare negli uffici né nella sala consiliare. Un disagio che aveva indotto il comune a spostare, in alcune occasioni, le riunioni in palestra. L’altro “rimedio” messo in atto era stato, quello che la consigliera considerava un “trattorino” e che per il comune era un montascale. Definizione quest’ultima non calzante per la Corte territoriale. In ogni caso, al là dei nomi, il risultato era che il marchingegno approntato non serviva allo scopo di far entrare in sala e negli uffici la consigliera autonomamente: doveva comunque farsi guidare dal personale.
La discriminazione indiretta.
La Cassazione conferma la discriminazione indiretta, cessata solo dopo l’installazione dell’ascensore per disabili, e la condanna a 15 mila euro di risarcimento. Non passano le giustificazioni del ricorrente, secondo il quale la discriminazione indiretta deve essere comunque intenzionale, mentre nello specifico il comune si era attrezzato per quanto poteva, visto che la location era in uno stabile degli anni ’50 del secolo scorso. Condizione questa che, ad avviso del ricorrente, lo avrebbe esonerato dal rispetto della legge (13/1999) dettata per il superamento delle barriere architettoniche. Una norma che si applicherebbe, secondo la difesa, solo ai nuovi edifici o a quelli sottoposti a ristrutturazione.
Il dovere collettivo di rimuovere gli ostacoli
Mentre in quelli esistenti e non ristrutturati è necessario adottare tutti gli accorgimenti per migliorare l’uso degli spazi. Cosa che il comune riteneva di avere fatto. Ma non è così. La Cassazione sottolinea che la normativa va interpretata in linea con la Costituzione. E proprio la giurisprudenza della Consulta chiarisce che l’accessibilità è ormai «una qualitas essenziale perfino degli edifici privati di nuova costruzione ad uso di civile abitazione». Nella coscienza sociale è ormai chiaro il dovere collettivo di rimuovere, preventivamente, ogni possibile ostacolo all’esercizio dei diritti fondamentali delle persone disabili, facilitando anche la loro vita di relazione. Obiettivo che va raggiunto appunto «con tutti gli accorgimenti possibili». E certo non basta il “trattorino”.
Fonte: Il Sole 24 Ore
15/02/2020