Premessa: lo studio di cui parliamo (in questi giorni rilanciato in Italia dal Corriere della Sera) uscirà nel numero di luglio della Emerging Infectious Diseases (al link tutte le anticipazioni ufficiali sullo studio), una rivista pubblicata dai Centers for Disease Control and Prevention (CDC) negli Stati Uniti. E si tratta di una ricerca sul campo realizzata in queste settimane, dunque, come tale ha dei forti limiti perché i ricercatori non hanno eseguito alcun esperimento per simulare la trasmissione aerea. Si sono limitati ad uno studio sul tracciamento dei contatti.
Ad ogni modo può rappresentare un incentivo a ragionare sulla fatidica Fase 2. E ci interessa perché è il primo studio che ci capita sotto mano ad essere svolto all’interno di un ristorante. Sono contenuti da prendere con le molle – sebbene si siano conquistati la pubblicazione su una rivista scientifica autorevole – ma assolutamente da non sottovalutare.
Il contagio in un ristorante di Guangzhou
Leggiamo sul New York Times (tra i primi a diffondere lo studio in attesa della sua pubblicazione tra un paio di mesi), che a gennaio del 2020, in un ristorante di Guangzhou, in Cina, una commensale proveniente da Wuhan che ancora non era stata messa sotto lockdown e infettata dal coronavirus, ma non malata né con sintomi, pare secondo lo studio del tracciamento abbia diffuso il virus ad altre nove persone. La causa? Sarebbe stato il flusso d’aria emesso da uno dei condizionatori del ristorante. Quel giorno, si legge nelle anticipazioni del paper, c’erano altri settantatré commensali più otto camerieri (questi passati indenni al contagio), dunque gli studiosi si sono focalizzati sul fattore comune dei dieci che successivamente si sono ammalati.
Chi si è ammalato al ristorante
Le persone che si sono ammalate erano o allo stesso tavolo della persona infetta o in uno dei due tavoli adiacenti. Dunque, il fatto che le persone più lontane siano rimaste in buona salute è un dato estremamente positivo perché permette di ipotizzare che il principale veicolo di trasmissione siano appunto le goccioline mucosalivari più grandi (se di grandi dimensioni si depositano sui materiali circostanti precipitando e possono trasmettere l’infezione da un individuo all’altro per contatto) e non quelle più piccole (aerosol) che possono resistere nell’aria per ore.
La distanza tra i tavoli è stata inutile?
C’è però un dato preoccupante: i tavoli tra loro erano distanziati un metro l’uno dall’altro. Significa che un metro di distanza non è sufficiente per evitare il contagio? Pare di no, dallo studio emerge che il comune denominatore dei dieci commensali ammalatisi successivamente sia un condizionatore d’aria. “Concludiamo che in questo focolaio, la trasmissione di goccioline sia stata provocata dalla ventilazione del condizionatore” – hanno scritto gli autori – “Il fattore chiave per l’infezione è stata la direzione del flusso d’aria”. Non si tratta, come pure ipotizzato in passato, di particelle infette che escono direttamente dall’aria condizionata, ma piuttosto di ‘fiato’ infetto che viene diffuso nell’aria a causa dei flussi dello split dell’aria condizionata. Tutti gli infettati, infatti, erano posizionati nella direzione del flusso d’aria: per alcuni di loro i ricercatori non sono sicuri al 100% che l’occasione del contagio sia stata quella (potrebbero aver avuto altri contatti con infetti successivamente), ma per altri sono piuttosto certi. Del resto non è una grande novità la sinergia di questo genere di virus Corona con i sistemi di areazione, non bisogna dimenticarsi che la SARS, una ventina d’anni fa, si diffuse proprio a causa dei condotti di condizionamento. Ecco perché in Asia i ricercatori non trascurano questo aspetto e ci conducono sopra studi e focus.
L’importanza di un corretto ricircolo dell’aria
Questo studio è interessante perché anticipa alcune delle sfide che i ristoranti dovranno affrontare quando verrà il momento di riaprire. Basterà mantenere una distanza di sicurezza tra i tavoli? Il naturale comportamento a tavola (considerando che quando si mangia non si indossano mascherine) aumenterà il rischio di contagio e di particelle infette nell’aria? A questo punto non converrà, anche ai ristoranti di alta cucina muniti di dehors, far mangiare gli ospiti all’aria aperta cosa che solitamente non era d’abitudine? Sarà importante avere aria che circola in ogni direzione e con scambi anche con l’esterno? Sono domande per le quali ancora non vi sono risposte, quel che è certo, commentano sempre gli autori dello studio, è che “i ristoratori dovranno essere consapevoli della direzione del flusso d’aria nell’organizzare i tavoli”.
Un elemento ancor più significativo dal momento che tutta o parte della ristorazione potrebbe riaprire in piena estate, quando in alcuni locali si tende a star chiusi dentro con finestre e porte chiuse e aria condizionata accesa. La sensazione – ma serviranno molti altri approfondimenti e chiarimenti scientifici e tecnici – è che in attesa di cure super efficaci e dell’agognato vaccino, sia molto meglio mangiare all’aperto o in ambienti assai ben arieggiati e dotati di scambi d’aria con l’esterno e non solo ricircolo interno. Indubbiamente la sfida di una areazione profonda degli ambienti è una sfida che non riguarda solo la ristorazione (pensiamo anche alle scuole, agli uffici), ma la ristorazione ha delle caratteristiche specifiche (lunga permanenza, impossibilità di tenere sempre la mascherina) che la obbligano a maggiori attenzioni in questo specifico ambito.
Fonte: gamberorosso.it
06/05/2020