In queste ore il Governo ha approvato un atteso decreto-legge che per ricercata efficacia comunicativa ha voluto denominare “decreto Rilancio”. Ne proponiamo una prima analisi in attesa della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.
Si tratta di un provvedimento che riprende in parte il precedente decreto “Cura Italia” (decreto legge 18/2020 nel frattempo modificato e convertito nella legge 24 aprile 2020, n. 27) ma, anche in funzione della cosiddetta Fase 2, interviene in molti ambiti del sistema produttivo e dei servizi commerciali oltre che del lavoro e dei consumi, introducendo misure per imprese e cittadini che dovrebbero, negli intenti almeno, favorire appunto il rilancio del Paese dopo la drammatica crisi derivata dal COVID 19.
Come nel decreto “Cura Italia”, anche il decreto “Rilancio” contempla alcune misure a sostegno dei nuclei familiari riservando anche parziali attenzioni alle persone con disabilità.
Queste forme di supporto possono essere grossolanamente ricondotte a due ambiti: forme di flessibilità per i lavoratori (permessi e congedi di vario tipo, lavoro agile ecc.) e sostegni di natura economica ai nuclei in difficoltà (ampliamento del reddito di cittadinanza, introduzione straordinaria del reddito di emergenza, bonus per baby sitter, bonus per lavoratori autonomi, colf e badanti ecc.). Poi vi è terzo àmbito, non di effetto immediato sulle persone e le famiglie che prevede l’aumento di alcuni Fondi.
Vediamo quindi le novità privilegiando quelle che maggiormente interessano le persone con disabilità.
Estensione dei permessi 104/1992
Il decreto “Rilancio” conferma anche per maggio e giugno l’aumento dei giorni di permesso lavorativo (ex articolo 33, legge 104/1992) già previsto dal decreto “Cura Italia” (art. 24). Come per il periodo marzo/aprile anche per il mese in corso e giugno sono concessi 12 giorni aggiuntivi complessivi di permesso lavorativo a chi assiste un familiare con grave certificata disabilità o al lavoratore con grave disabilità.
I 12 giorni si aggiungono a quelli ordinariamente previsti (3 per maggio, e 3 per giugno). Il totale del periodo è quindi 12+3+3 = 18 giorni lavorativi di permesso.
Merita di ricordare alcune precisazioni già espresse da INPS e dal Ministero della pubblica amministrazione sul punto:
– i permessi spettano sia a dipendenti pubblici che privati, sia ai lavoratori che assista un familare con grave disabilità che al lavoratore che ne fruisca per se stesso in quanto disabile;
– i permessi sono cumulabili in capo allo stesso lavoratore quando ne fruisca per più familiari o per sé e per un familiare;
– per la fruizione dei permessi aggiuntivi non è necessaria una nuova richiesta se già si fruisce dei tre giorni ordinari; è sufficiente accordarsi con il datore di lavoro o con l’amministrazione;
– se il lavoratore è in “cassa integrazione” a zero ore i permessi non vengono concessi; se è in “cassa integrazione” parziale (alcuni giorni, parte del mese o dei mesi) i numero di permessi viene riparametrato e quindi “meno giorni”;
– i giorni di permesso aggiuntivi sono concessi anche se l’altro genitore o altro familiare non lavorano;
– i giorni di permesso aggiuntivi sono compatibili con il congedo COVID 19 (15 giorni per i soli genitori e con retribuzione al 50%);
– i giorni di permesso aggiuntivi sono frazionabili in ore per i dipendenti privati (INPS) e non lo sono invece per i dipendenti pubblici;
– i permessi sono compatibli con lo svolgimento del lavoro agile;
– come i permessi ordinari (tre giorni/due ore) previsti dalla legge 104/1992 anche quelli aggiuntivi sono interamente retribuiti e coperti da contribuzione previdenziale.
Rinnovo Congedo COVID 19
Nel “Cura Italia” era previsto un congedo di 15 giorni riservato ai genitori per i figli di età fino ai 12 anni (senza limite di età se con disabilità) retribuito a 50%. Spetta sia ai dipendenti privati (art.23, decreto “Cura Italia”) che ai dipendenti pubblici (art. 25 che richiama il 23).
Il decreto “Rilancio” corregge parzialmente quell’articolo aumentando il periodo del congedo a 30 giorni complessivi (continuativi o frazionati) per il periodo compreso fra il 5 marzo e 31 luglio 2020. Nella sostanza chi non ne ha ancora fruito può contare ancora su 30 giorni. Mentre chi ha usato già i 15 giorni precedenti può usare i rimanenti 15.
Restano ferme le altre condizioni, fra le quali l’impossibilità di fruire del congedo se l’altro genitore non lavora o è in “cassa integrazione” (CIG, FIS ecc.)
Il congedo è invece compatibile con il contestuale svolgimento dell’attività lavorativa in modalità di smart working.
È utile ricordare che il messaggio INPS 1621 ha espresso una utile apertura: vista la natura speciale ed emergenziale della tutela in esame, è possibile cumulare nell’arco dello stesso mese il congedo COVID-19 con il prolungamento del congedo parentale di cui all’articolo 33 del decreto legislativo n. 151/2001 e con il congedo straordinario di cui all’articolo 42, comma 5, del medesimo decreto legislativo, anche fruito per lo stesso figlio. Non solo: il diversi benefici possono essere fruiti contemporaneamente da entrambi i genitori per lo stesso figlio (es. l’uno il congedo COVID-19, l’altro il congedo straordinario).
In alternativa a questo congedo ai lavoratori dipendenti del settore privato, ai lavoratori iscritti alla Gestione separata e ai lavoratori autonomi viene riconosciuto un bonus fino a 1200 euro per attività di baby sitting e/o per la frequenza a centri estivi o servizi integrativi per l’infanzia.
Una forma simile di bonus è riservata anche a buona parte dei lavoratori dipendenti del settore sanitario, pubblico e privato e del personale del comparto sicurezza, difesa e soccorso pubblico . In questo caso il bonus arriva a 2000 euro.
Questi bonus sono incompatibili con il Reddito di emergenza di cui diremo dopo.
Assenze equiparate a “ricovero ospedaliero”
Chi si attendeva dal decreto “Rilancio” un chiarimento che rendesse operativa e omogenea l’applicazione dell’articolo 26 del decreto “Cura Italia” è rimasto fortemente deluso.
Nonostante le richieste e le istanze provenienti da diverse parti, il Governo ha ritenuto di introdurre come unica modificazione l’estensione del “beneficio” dal 30 aprile al 31 luglio 2020, lasciando quindi intonso il farraginoso testo approvato dal Senato (emendamento Errani) in sede di conversione in legge del decreto “Cura Italia”.
Ma ripercorriamo la vicenda.
Il testo originale dell’articolo 26 del “Cura Italia” prevedeva che ai lavoratori dipendenti pubblici e privati in possesso del riconoscimento di disabilità con connotazione di gravità nonché ai lavoratori in possesso di certificazione “rilasciata dai competenti organi medico legali”, attestante una condizione di rischio derivante da immunodepressione o da esiti da patologie oncologiche o dallo svolgimento di relative terapie salvavita anche se non sono in possesso della certificazione di handicap con connotazione di gravità (basta il comma 1 dell’articolo 3 della 104) venisse riconosciuto fino a fine aprile lo status ricovero ospedaliero sulle assenze effettuate.
Le ambiguità e i coni d’ombra di quel testo hanno comportato fino ad oggi la mancata applicazione di quel diritto per la quasi totalità dei potenziali interessati non hanno potuto godere di quel beneficio.
Né la Presidenza del Consiglio dei Ministri, né il Ministero della Salute, né il Ministro per la Pubblica Amministrazione o quello del Lavoro, né tantomeno INPS hanno fornito indicazioni operative e applicative. Quali sono le procedure? Chi emette la certificazione? Possono farlo o no i medici di medicina generale? Ecc…
Senato e Camera avevano la possibilità di chiarire in sede di conversione, ma in realtà hanno peggiorato ancora la situazione complicando ulteriormente il testo originale, generando sovraccarichi ulteriori per le persone, restringendo la possibilità di fruizione.
Dal testo, scritto in modo tecnicamente molto incerto, è possibile estrarre una ipotesi di percorsi differenziati che sono davvero assai onerosi.
ai lavoratori con grave disabilità viene richiesto:
a) verbale di handicap con connotazione di gravità (art. 3. comma 3, legge 104);
b) prescrizione delle autorità sanitarie competenti;
c) (in aggiunta a e b) prescrizione del medico di assistenza primaria.
Il testo vigente non precisa chi siano le “autorità sanitarie competenti”, non precisa chi sia il medico di assistenza primaria; verosimilmente il medico di medicina generale (medico di famiglia). Quindi serve una doppia prescrizione, non certo agevole in un periodo di piena emergenza COVID.
ai lavoratori con immunodepressione, esiti da patologie oncologiche ecc …viene richiesto:
a) verbale di handicap senza connotazione di gravità (art. 3. comma 1, legge 104)
b) attestazione della condizione di rischio derivante da immunodepressione o da esiti di patologie oncologiche o dallo svolgimento di relative terapie salvavita, rilasciata dai competenti organi medico legali;
c) prescrizione delle autorità sanitarie competenti;
d) (in aggiunta a, b e c) prescrizione del medico di assistenza primaria.
Anche in questo caso il testo vigente non precisa chi siano i “competenti organi medico legali”; probabilmente i servizi di medicina legale o di igiene pubblica delle ASL, in questo periodo già sovraccaricate di altri impegni. E ancora non precisa chi siano le “autorità sanitarie competenti” né chi sia il “medico di assistenza primaria”.
Il decreto “Rilancio” non ha chiarito nulla. Si è dunque nella medesima situazione di totale disorientamento in cui ci si trovava quasi due mesi fa: nessuna indicazione operativa per rendere esigibile quel diritto. Non siamo in grado di fornire indicazioni certe ed omogenee a chi è potenzialmente interessato.
In tutto ciò, inoltre, il Legislatore non ha ancora trovato modo di chiarire se questo periodo di astensione venga conteggiato ai fini del periodo di comporto, e cioè di quel periodo di tempo in cui viene conservato il posto di lavoro anche se si è in malattia.
Ma si aggiunge a tutto ciò anche un ulteriore elemento di inquietante complicazione che vediamo subito.
La sorveglianza sanitaria
Esiste in Italia, non certo da ora, una robusta e corposa disciplina per la sicurezza sui luoghi di lavoro e sulla tutela della salute dei lavoratori. L’ultima e compiuta espressione la troviamo nel noto decreto legislativo 81/2008 che fissa regole, obblighi, competenze delle diverse figura coinvolte, formazione, percorsi per garantire quegli obiettivi così rilevanti per milioni di lavoratori.
In questa fase, ovviamente, si presenta un situazione per certi versi nuova ma comunque incardinabile in quanto già previsto soprattutto per la sorveglianza sanitaria utilissima assieme alle altre misure che proprio in queste ore vengono indicate da INAIL.
Opportunamente uno specifico articolo del decreto “Rilancio” prevede che “per garantire lo svolgimento in sicurezza delle attività produttive e commerciali in relazione al rischio di contagio da virus SARS-CoV-2, fino alla data di cessazione dello stato di emergenza per rischio sanitario sul territorio nazionale, i datori di lavoro pubblici e privati assicurano la sorveglianza sanitaria eccezionale dei lavoratori maggiormente esposti a rischio di contagio, in ragione dell’età o della condizione di rischio derivante da immunodepressione, anche da patologia COVID-19, o da esiti di patologie oncologiche o dallo svolgimento di terapie salvavita o comunque da comorbilità che possono caratterizzare una maggiore rischiosità. “
In sé non si può che esprimere un plauso a questa attenzione anche se forse, proprio per come è formulata l’attuale disciplina, appare una ripetizione, una tautologia. Ma tant’è.
Vediamo piuttosto che accade, non mancando di segnalare che ci si riferisce alle attività produttive o commerciali.
Dunque la sorveglianza sanitaria spetta al “medico competente”, quello indicato dall’azienda o amministrazione per queste attività. Egli verifica – in estrema sintesi – la compatibilità fra le mansioni assegnate e svolte e i rischi per le condizioni di salute del lavoratore
Il medico competente può concludere la sua valutazione sull’idoneità alla mansione in diversi modi. Può confermare la piena idoneità alla mansione: non cambia nulla.
Può stabile una idoneità parziale, temporanea o permanente, con prescrizioni o limitazioni. In questo caso l’azienda per consentire al lavoratore di proseguire la sua attività deve applicare le prescrizioni e/o adottare le limitazioni. Può anche destinare la persona a mansione diversa (inferiore, equivalente, superiore). Ma se non è dimostratamente in grado di seguire le prescrizioni e/o limitazioni può essere avviato il licenziamento. E iniziare gli inevitabili contenziosi.
L’altra opzione è l’inidoneità temporanea. È una soluzione apprezzata dalle aziende perché non comporta costi organizzativi né obbligo di retribuzione (salvo alcuni rari CCNL).
L’ultima è l’inidoneità permanente: motivo di licenziamento e, se sussistono le premesse (incapacità a svolgere qualsiasi proficuo lavoro) ad avviare il (pre)pensionamento
Il decreto”Rilancio” precisa che l’inidoneità alla mansione accertata ai sensi dell’articolo che “intensifica” la sorveglianza sanitaria non può in ogni caso giustificare il recesso del datore di lavoro dal contratto di lavoro. Rimane il fatto che – di norma – con l’inidoneità temporanea non è dovuta la retribuzione.
Cosa può accadere? Che l’azienda, nel rispetto delle indicazioni del nuovo decreto attivi immediatamente la sorveglianza sanitaria sui lavoratori con disabilità e con altri quadri clinici o di età a rischio. Il medico stabilisce l’inidoneità temporanea e il lavoratore non riesca ad ottenere il riconoscimento e i benefici dell’articolo 26. In questo caso rimane senza la copertura dell’articolo 26 e senza anche retribuzione. Il che è piuttosto inquietante. Peraltro il testo lascia intendere se i benefici dell’articolo 26 possano essere richiesti dopo che il medico competente ha riconosciuto l’inidoneità. A logica parrebbe di no, ma la cronaca normativa di questi mesi ci ha insegnano a non stupirci di nulla.
In questo quadro – ma questa è solo una valutazione – sarebbe stato molto più agevole riconoscer al medico competente la possibilità di riconoscere le condizioni dell’articolo 26 del “Cura Italia” (inidoneità temporanea – status di ricovero ospedaliero).
Lo scenario che si prospetta così non è per nulla rassicurante per i lavoratori con disabilità o altre condizioni di morbilità.
Per completezza si rammenta che contro le decisioni del medico competente è possibile ricorrere presso la specifica commissione ASL.
Indennità ai lavoratori autonomi, agricoli, dello spettacolo e altro
Il “Cura Italia” aveva previsto forme di sostegno (indennità e reddito di ultima istanza) a favore dei lavoratori autonomi, iscritti alle gestioni separate, lavoratori agricoli, dello spettacolo in ragione dell’evidenza che per loro non vi sono strumenti di sostegno al reddito come la “cassa integrazione”. Purtroppo nei meandri di quella norma vi era un limite che creava una evidente disparità. Da quel bonus erano esclusi i lavoratori che percepissero assegni (variamente denominati) per invalidità che ne riduca la capacità di produrre reddito. Si tratta di una misura previdenziale spesso di poche centinaia di euro. Il decreto “Rilancio” rimuove malamente questa disparità, escludendo dalle incompatibilità l’assegno ordinario di invalidità (legge 222/1984) con le varie indennità/bonus, ma dimenticando che esistono uguali provvidenze con la medesima finalità che tecnicamente non derivano affatto dalla legge 222. Si creano così nuove disparità nonostante fossero state ripetutamente segnalate.
Fra l’altro chi percepisce queste indennità è escluso dal Reddito di emergenza
Il Reddito di emergenza
Negli intenti del Governo il Reddito di emergenza (Rem) è uno strumento straordinario di sostegno economico ai nuclei familiari che si affianca, in via del tutto temporanea, al Reddito di cittadinanza.
Il Reddito di emergenza, oltre ad essere incompatibile con il Reddito di cittadinanza, non può essere erogato se nel nucleo vi sono persone che percepiscono una pensione diretta o indiretta (escluso l’assegno di invalidità ex legge 222). Ricordiamo che fra quelle indirette c’è anche la pensione di reversibilità, qualsiasi sia l’importo.
Le altre condizioni per ottenere il Rem: residenza in Italia, verificata con riferimento al componente richiedente il beneficio; reddito familiare inferiore al Rem spettante, patrimonio mobiliare familiare 2019 inferiore a 10.000 euro, accresciuto di 5.000 euro per ogni componente successivo al primo, fino a un massimo di 20.000 euro; quest’ultima cifra è accresciuta di 5000 nel caso nel nucleo vi sia una persona con disabilità grave o non autosufficienza. L’ISEE deve comunque essere inferiore a 15.000 euro. Inoltre, oltrea tutte queste condizioni, nel mese di aprile non si deve superare una determinata soglia di reddito estremamente bassa. Il meccanismo, o meglio il parametro per calcolare la soglia di questo “reddito” è (più o meno) quello previsto dal Reddito di cittadinanza ed è lo stesso che serve anche per calcolare l’importo del Reddito emergenza (che va da 400 a 880 euro).
La base è 400 euro. Va moltiplicata per 1 per il primo componente del nucleo familiare,indicatore che è incrementato di 0,4 per ogni ulteriore componente di minore età, fino ad un massimo di 2. O 2,1 nel caso in cui nel nucleo familiare siano presenti componenti in condizione di disabilità grave o di non autosufficienza, come definite ai fini dell’ISEE. (Più sopra abbiamo scritto che è “più o meno” il sistema del reddito di cittadinanza perché lì è previsto che l’aliquota per i nuclei con persone con disabilità sia il 2,2 e non il 2,1 come in questo caso). Sembra di intendere dal testo che de ne nucleo è presente una persona con disabilità grave il reddito di emergenza può arrivare anche più in alto di 800 euro (400 x2,1=840).
Per ottenere un Reddito di emergenza di 840 euro è necessario che nel nucleo ci sia almeno un adulto con tre minori e ci sia un disabile grave o un non autosufficiente. Oltre a tutte le altre condizioni (ISEE, patrimonio , reddito di aprile basso e le altre incompatibilità).
Altro esempio, Due adulti: il limite reddituale di aprile è 400 euro e l’importo pure (fermi restando gli altri limiti ISEE e patrimoniali).
Il Reddito di emergenza, che va richiesto a INPS entro giugno, è pari a due mensilità.
L’aumento dei Fondi
Nel decreto “Rilancio” è previsto l’aumento di due Fondi ben noti a chi si occupa di disabilità. Sono il Fondo per le non autosufficienze (FNA) e il Fondo per il cosiddetto dopo di noi (legge 112/2016). Attenzione, però: in entrambi i casi gli aumenti sono finalizzati a specifiche finalità che il decreto esplicita con indicazioni che poi serviranno per il riparto alle Regioni.
Il FNA viene incrementato di 90 milioni per il 2020 “al fine di potenziare l’assistenza, i servizi e i progetti di vita indipendente per le persone con disabilità gravissima e non autosufficienti e per il sostegno di coloro che se ne prendono cura”. Il concetto di “disabilità gravissima”, quando si parla di FNA, è piuttosto stringente e riconducibile alla necessità di assistenza vitale. Saranno aspetti che verosimilmente verranno chiariti in seguito ma che comunque potrebbero essere particolarmente divisivi. Non sfugge poi il fatto che riferendosi a “coloro che se ne prendono cura” non si usi la definizione di caregiver familiari (i grandi assenti anche in questo decreto) che pure è presente nella nostra normativa.
Il Legislatore ha, al contrario, l’accortezza di vincolare 20 milioni (dei 90 previsti) alla realizzazione di progetti per la vita indipendente.
L’aumento di 20 milioni per il Fondo per il “dopo di noi” è invece destinato alle persone con disabilità grave prive del sostegno familiare e quindi per potenziare i percorsi di accompagnamento per l’uscita dal nucleo familiare di origine o per la deistituzionalizzazione, gli interventi di supporto alla domiciliarità e i programmi di accrescimento della consapevolezza, di abilitazione e di sviluppo delle competenze per la gestione della vita quotidiana e per il raggiungimento del maggior livello di autonomia possibile.
Ma il decreto “Rilancio” istituisce anche un nuovo fondo denominato “Fondo di sostegno per le strutture semiresidenziali per persone con disabilità” finanziandolo con 40 milioni nel 2020.
La finalità è di fornire un sostegno alle strutture semiresidenziali, comunque siano denominate dalle normative regionali, a carattere socio-assistenziale, socio-educativo, polifunzionale, socio-occupazionale, sanitario e socio-sanitario per persone con disabilità, che in conseguenza dell’emergenza epidemiologica da COVID 19 devono affrontare gli oneri derivante dall’adozione di sistemi di protezione del personale e degli utenti. Per i criteri di riparto si provvederà con successivi decreti.
Proroga dei piani terapeutici
Concludiamo la carrellata con una novità positiva che riguarda alcune persone con disabilità.
I piani terapeutici che includono la fornitura di ausili, dispositivi monouso e altri dispositivi protesici (previsti dal decreto sui LEA del 2017) per incontinenza, stomie e alimentazione speciale, laringectomizzati, per la prevenzione e trattamento delle lesioni cutanee, per patologie respiratorie e altri prodotti correlati a qualsivoglia ospedalizzazione a domicilio, in scadenza durante lo stato di emergenza, sono prorogati per ulteriori 90 giorni. Il decreto richiama anche le le Regioni affinché adottino procedure accelerate ai fini delle prime autorizzazioni dei nuovi piani terapeutici.
Fonte: Handylex.org
14/05/2020