La psicologa Caterina Imerti spiega quali siano le conseguenze e i danni che la Didattica a distanza si sta trascinando dietro. E per settembre si spera non torni l’incubo.
A cura di Monia Sangermano.
La scuola è la più importante agenzia educativa della nostra società. Assieme alla famiglia, contribuisce alla crescita dei fanciulli e dei ragazzi, non solo dal punto di vista formativo e didattico, ma anche per l’aspetto socio-relazionale.
A causa dell’emergenza Covid-19, con il DPCM dell’ 8 Marzo 2020, è stata sancita, tra le altre misure di contenimento per contrastare la diffusione dell’ epidemia, la chiusura delle scuole di ogni ordine e grado. Il Ministro della Pubblica Istruzione, per mantenere la continuità didattica, ha invitato tutte le scuole a proseguire il proprio lavoro a distanza. Sono state dunque attivate varie piattaforme e classi virtuali e, all’inizio, tutto ciò ha generato molta confusione e incertezza, soprattutto in quei docenti e genitori che non hanno molta dimestichezza con la tecnologia.
Ma tutti questi stravolgimenti cosa hanno comportato nella vita di insegnanti, alunni e genitori?
La Didattica a Distanza ha consentito di ricostituire, almeno virtualmente, il gruppo classe, dando la possibilità ai ragazzi di incontrare nelle aule virtuali compagni e insegnati e di mantenere il rapporto costruito. Ciò è stato di grande aiuto agli studenti, per la possibilità di proseguire con la propria formazione e per l’opportunità di smorzare la situazione di isolamento nella quale tutti noi ci siamo ritrovati. Ma nonostante la fatica dei docenti nel cercare di creare un ambiente quanto più accogliente e motivante possibile, innegabili sono le criticità riscontrate.
Tra le principali rientrano quelle dovute all’assenza dei dispositivi e supporti tecnologici che consentano la partecipazione democratica alla didattica on-line; la mancanza di un percorso di crescita professionale qualificato e dello sviluppo di competenze specifiche da parte dei docenti, che hanno dovuto acquisire nel più breve tempo possibile strumenti e metodologie informatiche per far fronte all’emergenza; per non parlare dell’appiattimento della dimensione relazionale del rapporto alunno-insegnante, caratterizzata dall’assenza del contatto umano, della gestualità e della comunicazione diretta che rendono piacevole e stimolante il processo di apprendimento. In questo modo, nonostante tutti gli insegnanti si stiano sforzando di dare il meglio di sé, il processo educativo finisce per diventare una mera e gelida trasmissione di contenuti, poco stimolante e motivante per gli alunni; specialmente per i più piccoli, per i quali la presenza fisica dell’insegnante che li s timoli e motivi passando tra i banchi, è fondamentale. Dunque, i bambini, potrebbero manifestare in questa situazione una diminuzione della loro capacità di concentrazione, un abbassamento dei livelli di autostima e aumentare il loro disorientamento. Tutto ciò si rivela molto frustrante e stressante per gli insegnanti, che per il costante impegno e sforzo professionale richiesti, la disponibilità di strumenti spesso poco consoni, le retribuzioni poco adeguate, la solitudine e l’emergenza sanitaria vissuta soggettivamente potrebbero, a lungo termine, manifestare i sintomi di questo logorìo-psicofisico tendente al burnout.
E gli alunni? Oltre a quanto descritto sopra, da varie ricerche condotte per valutare l’indice di gradimento di questa nuova modalità di apprendimento, sembrerebbe emergere un’elevata percentuale di insoddisfazione da parte degli alunni nei confronti della didattica a distanza. Un’indagine ancora in corso, realizzata dall’Osservatorio permanente “Generazione Proteo” sui giovani della Link Campus University, evidenzia che solo il 36% delle migliaia di studenti intervistati valuterebbe positivamente l’esperienza finora vissuta nell’ambito della Didattica a Distanza. Ciò sarebbe dovuto, principalmente, all’impossibilità delle lezioni a distanza di consentire l’aspetto di relazione, socializzazione, condivisione tra insegnanti-alunni e tra compagni stessi, di idee, emozioni e rituali che scandiscono la tipica giornata scolastica.
Un’altra ricerca svolta dell’Associazione Nazionale Di.Te. (Dipendenze tecnologiche, Gap, Cyber-bullismo) in collaborazione con Skuola.net, intitolata “Giovani e Quarantena”, su 9mila studenti tra gli 11 e 20 anni evidenzia gli effetti psicofisici del lockdown sui giovanissimi. L’assenza della routine scolastica comporta nei ragazzi degli stravolgimenti, che per l’80% circa degli intervistati si manifestano come cambiamenti del ritmo sonno/veglia e aumento dei risvegli notturni; e circa la metà di essi manifesta anche un cambiamento delle abitudini alimentari, dichiarando di mangiare di più e a qualsiasi orario.
Dal punto di vista dell’ apprendimento, è emerso che il 54% degli intervistati non apprezza questa modalità a distanza, ritenendola più faticosa e dispersiva; inoltre circa il 15 % degli stessi, dichiara che la possibilità di utilizzare PC e smartphone è una forte tentazione per fare altro durante le lezioni.
Un’ulteriore criticità riscontrata, sulla quale occorre porre notevole attenzione, riguarda l’ inclusione degli alunni con bisogni educativi speciali (BES), con disturbi specifici dell’ apprendimento (DSA), o affetti da disabilità fisiche e cognitive. Questi studenti necessitano della presenza di figure specifiche e specializzate che agevolino il loro processo di apprendimento, ne promuovano l’autonomia, l’ inclusione, la comunicazione e la socializzazione.
E i genitori? La scuola, in quanto sistema di interazione, mai come ora necessita del supporto e della collaborazione dei genitori, chiamati a partecipare in modo attivo alla formazione dei propri figli attraverso la DaD. Purtroppo, però, i ritmi lavorativi non sempre permettono questa partecipazione e i ragazzi potrebbero sperimentare sentimenti di abbandono e ansia. Infatti, le criticità riscontrate dai genitori, spaziano dalla disponibilità di strumenti adeguati, alla disponibilità di tempo da dedicare alla DaD; poiché specialmente i più piccoli hanno bisogno di essere seguiti in modo costante, sia per poter partecipare alle video-lezioni, che per scaricare, portare a termine e restituire i compiti ai docenti. Praticamente diventa un lavoro a tempo pieno, che occupa gran parte della giornata. E le difficoltà aumentano all’aumentare dei figli coinvolti nella DaD, che magari devono condividere lo stesso spazio e lo stesso dispositivo. Se a tutto questo si aggiunge il fatto che molti genitori stanno lavorando in modo agile, quindi hanno anch’essi bisogno di uno spazio fisico e di un dispositivo, diventa una vera sfida; in modo particolare per le mamme che, oltre a quanto descritto, devono far fronte anche a tutte le incombenze relative alla gestione familiare.
E’ chiaro, dunque, che la Didattica a distanza può funzionare solo come sostituzione forzata, ma la scuola è altro. E’ un sistema fatto di relazioni autentiche, che porta i ragazzi ad apprendere attraverso le emozioni; perché educare non è travasare contenuti in modo sterile e distaccato, non è mera trasmissione di nozioni, ma, come diceva Don Bosco “è una cosa di cuore”.
Fonte:MeteoWeb.eu
26/05/2020