Pensioni invalidità, l’aumento scatta a 18 anni e non a 60: servono 1,8 miliardi

Pensioni invalidità, l’aumento scatta a 18 anni e non a 60: servono 1,8 miliardi

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Pubblicata la sentenza della Corte costituzionale, anticipata da una nota del 24 giugno, che dichiara l’illegittimità del requisito anagrafico nell’incremento “al milione” (651,51 euro) delle pensioni d’invalidità totale. Ora tocca al legislatore provvedere alla copertura degli oneri derivanti dalla pronuncia. Per Barbieri “servono 1,8 miliardi. Restano esclusi invalidi parziali, sordi e ciechi”

ROMA – “Incremento al milione” per tutte le pensioni d’invalidità totale, anche prima dei 60 anni di età: è quanto prevede e richiede la Corte Costituzionale, che nella sentenza 152/2020, pubblicata ieri, dichiara “l’illegittimità costituzionale dell’art. 38, comma 4, della legge 28 dicembre 2001, n. 448, recante ‘Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato’, nella parte in cui, con riferimento agli invalidi civili totali, dispone che i benefici incrementativi di cui al comma 1 sono concessi ‘ai soggetti di età pari o superiore a sessanta anni” anziché “ai soggetti di età superiore a diciotto anni”.

285 euro non bastano

Diventa così ufficiale la decisione della Corte, già anticipata con il comunicato del 24 giugno scorso, in merito all’importo mensile della pensione d’inabilità attualmente spettante agli invalidi civili totali, stabilito dall’articolo 12, primo comma, della legge n. 118 del 1971: tale importo, oggi pari a 286,81 euro, è stato definito dalla Corte “innegabilmente, e manifestamente, insufficiente” ad assicurare agli interessati il “minimo vitale”. La questione, lo ricordiamo, era stata sollevata dalla Corte d’appello di Torino, che si era rivolta alla Consulta per esaminare la legittimità costituzionale di tale importo, in merito al caso di una donna con tetraplegia spastica neonatale, incapace non solo di svolgere i più elementari atti quotidiani della vita (come lavarsi, vestirsi, alimentarsi), ma anche di comunicare con l’esterno. Ora, la sentenza dà ragione alla donna, riconoscendo l’inadeguatezza dell’attuale importo e l’illegittimità del requisito anagrafico previsto nella legge 118 del 1971, in base al quale l’”incremento al milione” (oggi 651,51euro) era riservato a chi avesse compiuto il 60° anno di età.

Incremento “al milione” dai 18 anni di età

Per la Corte, dunque, gli invalidi civili totalmente inabili al lavoro hanno diritto a tale incremento fin dal compimento dei 18 anni, senza aspettare i 60. Il requisito anagrafico finora previsto dalla legge è irragionevole in quanto “le minorazioni fisio-psichiche, tali da importare un’invalidità totale, non sono diverse nella fase anagrafica compresa tra i diciotto anni (ovvero quando sorge il diritto alla pensione di invalidità) e i cinquantanove, rispetto alla fase che consegue al raggiungimento del sessantesimo anno di età, poiché la limitazione discende, a monte, da una condizione patologica intrinseca e non dal fisiologico e sopravvenuto invecchiamento”.

La sentenza precisa inoltre che la maggiore spesa a carico dello Stato, derivante dall’estensione della maggiorazione agli invalidi civili – nel rispetto delle soglie di reddito stabilite dalla legge 448 del 2001 – non viola l’articolo 81 della Costituzione. poiché sono in gioco diritti incomprimibili della persona. I vincoli di bilancio, dunque, non possono prevalere. “Ciò comporta – ha affermato la Corte – che il legislatore deve provvedere tempestivamente alla copertura degni oneri derivanti dalla pronuncia, nel rispetto del vincolo costituzionale dell’equilibrio di bilancio in senso dinamico”.

Per quanto riguarda la tempistica, la Corte ha ritenuto di far decorrere gli effetti della sentenza dal giorno successivo alla sua pubblicazione nella Gazzetta ufficiale, precisando che “resta ferma la possibilità per il legislatore di rimodulare la disciplina delle misure assistenziali vigenti, purché sia garantita agli invalidi civili totali l’effettività dei diritti loro riconosciuti dalla Costituzione”.

Servono 1,8 miliardi. Restano esclusi invalidi parziali, sordi e ciechi

Secondo una stima di Pietro Barbieri, ex presidente Fish ed ex portavoce del Forum Terzo settore, oggi alla guida del Centro per l’autonomia di Roma, “serviranno circa 1,8 miliardi per incrementare gli importi di tutte le pensioni d’invalidità totale, così come previsto dalla sentenza. Una sentenza che deve farci riflettere, innanzitutto, sul fatto che i diritti, dopo la stagione conclusa con la legge 328, li garantisce la Corte costituzionale, come già accaduto per la scuola nel 2010 con la sentenza 80”. Se però da un lato la sentenza garantisce diritti, dall’altra non li garantisce a tutti, visto che “restano esclusi gli invalidi parziali, così come i sordi e i ciechi. Sarebbe il caso – osserva ancora Barbieri – che il governo evitasse di produrre una disparità di trattamento e ulteriori ricorsi. Infine, occorre pensare alle persone con disabilità non solo come pensionati, ma come cittadini, lavoratori, imprenditori, persone attive come tutti gli altri. Non vorrei che l’attuazione della sentenza porti a tralasciare le politiche di inclusione, che invece occorre potenziare”.

Fonte: Superabile.it

27/07/2020