Lettera aperta di Matteo Sborgia sui disagi vissuti dai disabili nella pandemia
Nessuno deve essere lasciato solo o indietro. Siamo tutti uguali. Propositi bellissimi, nella maggior parte dei casi figli di una retorica assoluta propria dell’essere umano che il più delle volte è capace di frasi meravigliose a cui, troppo spesso, non corrispondono fatti concreti che lo siano altrettanto. Del resto, si sa, di norma alla teoria deve o meglio dovrebbe seguire la pratica, ma non sempre è così. Anzi, per certi versi, quasi mai. Il verso è sempre lo stesso, purtroppo, quello dei disabili. Uomini e donne comuni che respirano, mangiano, sognano. Insomma: vivono. O meglio, vorrebbero farlo nella maniera più normale possibile ma, c’è sempre un ma. Nostro malgrado. Persone disabili e non disabili persone. Perché una difficoltà, una mancanza di qualsiasi genere sia, non deve mai mettere in dubbio l’essere umano in quanto tale. Con i suoi annessi e connessi. La realtà come sempre è un’altra. Barriere architettoniche a non finire, burocrazia e chi più ne ha più ne metta. Talvolta ci sentiamo soli, abbandonati, non capiti. Ultimi. Si, ultimi è il termine giusto perché è ciò che in realtà siamo. Al di là di ogni più idiota retorica. Ultimi che spesso vengono trattati con umano e sciocco pietismo. Ultimi a cui viene di sovente detto che non è così. Ma non è vero.
Ultimi siamo e purtroppo ultimi saremo. Eh già, perché il Covid-19, non ha fatto altro che accentuare le differenze e aumentare le distanze. La prima ondata della pandemia ha evidenziato le enormi ed abissali criticità in tal senso. Siamo stati costretti a riversarci in casa, abbandonando le terapie che hanno importanza vitale, a lasciare la scuola in presenza per la didattica a distanza. Non abbiamo più avuto gli insegnanti di sostegno che sono fondamentali. Tutto giusto, per carità. I sacrifici li devono fare tutti e noi non siamo di certo immuni. Risultato? Le famiglie, sempre loro, si sono sobbarcate tutto. Padri e madri, si sono improvvisati: insegnanti, terapisti, psicologi, confessori. Soli. Una solitudine buia, amara, triste. Tuttavia così è stato. Poi è arrivata l’estate. Sappiamo tutti ciò che è successo. E ora? Ci troviamo al punto di partenza. Palestre e piscine chiuse. Scuole superiori con il 75% di didattica a distanza. Come da Dpcm appena firmato. Gli ospedali sono allo stremo. Ma anche noi lo siamo. Lo sono anche le nostre famiglie. Padri e madri dovranno reinventarsi di nuovo: insegnanti, terapisti, psicologi e confessori. Soli. Sempre soli. Perché questa pandemia in fin dei conti non ha insegnato nulla. E alla fine sono sempre gli stessi ad essere lasciati indietro. Soli. Sempre soli. Nella colpevole e consueta indifferenza di una società che urla, corre, litiga ma non si ferma. Non riflette. E quando è costretta a farlo, dimentica. Troppo velocemente.
Matteo Sborgia