Lettera aperta. Caro Presidente Mattarella, caro Presidente Conte, caro Ministro Speranza, carissimo Papa Francesco. Sono uno delle centinaia di migliaia di caregiver che non fanno notizia. Appartengo a quel popolo di invisibili di cui ci si occupa, quando va bene, sotto le feste di Natale o in occasioni particolari, come il 2 Aprile, giornata mondiale di sensibilizzazione dell’autismo. Ho un figlio autistico, interdetto, che vive in una Rsd. Come potrei pretendere che oggi, per di più in piena emergenza Covid, ci si occupi di lui (ha quarant’anni) e di un genitore di 71 anni che vive da solo, dopo che un ictus ha colpito la madre di Gabriele, nostro figlio, costringendola a un ricovero prematuro in una Rsa?
Ci sono disabili e anziani segregati da mesi all’interno di strutture talvolta fatiscenti e insicure, di cui si prende frettolosamente nota solo quando la quantità di morti raggiunge un numero talmente “interessante” da garantire un’audience elevata nei Tg e talk show televisivi e perché no? “persino” in qualche interpellanza parlamentare. Poi ci sono tanti altri, altrettanto emarginati e soli: i senza fissa dimora, quelli che a causa del Covid hanno perso il lavoro, i “nuovi poveri” in giacca e cravatta… È giusto ricordare che ai disabili autistici sono stati permessi, e solo in poche Regioni, brevi rientri a casa solo dopo la seconda metà di agosto, al termine di una lunga vittoriosa battaglia… Eppure la specificità e la complessità della patologia autistica avrebbero potuto e dovuto suggerire ovunque il contrasto di ogni forma di isolamento sociale, prima ancora di qualsiasi altro intervento. Sarebbe stato necessario non smarrire i contatti con i familiari, con il contesto affettivo, con ciò che rimane di una vita segnata da dolorose e pesanti rinunce. Dalla fine di settembre, con l’avallo di presidenti di Regione e assessori alla Salute, sono state emanate ordinanze del tutto disattente alle caratteristiche dello spettro autistico. Per gli autistici ciò ha significato, e significa, nessuna terapia, nessuna riabilitazione, nessun rientro a casa, nessuna visita in struttura, nessuna attenzione ai loro stati d’animo, quasi ne fossero sprovvisti o non vivessero appieno le emozioni come chiunque altro. Parliamo di persone i cui i deficit di relazione e comunicazione rappresentano una cifra importante, essendo due tra le principali compromissioni.
Ebbene: oggi, in assenza di contatti con i familiari, l’unico loro riferimento è tornato a essere quello di operatori che indossano la mascherina e la visiera. Tanti che si aiutano col labiale non capiscono una sola parola di questi interlocutori e non riconoscono nemmeno il viso di chi hanno di fronte… Chi glielo spiega, allora, a Gabriele, come mai è risultato positivo al Covid e costretto a un deleterio periodo di isolamento, che ne ha ulteriormente aggravato la condizione psico-fisica? Chi gli ha trasmesso il Coronavirus visto che né lui né altri sono più tornati a casa? C’è relazione con la grave crisi che ha avuto i giorni successivi? La mia risposta è “sì”. Sono assolutamente convinto che questo è il prezzo che si paga (o meglio: quello che pagano tutti “i” Gabriele) a un sistema di cattività disumano e ingiusto, che esige un immediato cambiamento di rotta per non produrre danni ancor più devastanti.
Questa drammatica realtà non riguarda solo le Rsd, ma anche tantissime Rsa per persone anziane, dove il Covid continua a galoppare, nonostante gli ospiti siano reclusi da mesi… Chiudo rivolgendomi a te, Gabriele caro. Questa lettera, indirizzata alle massime autorità dello Stato e al Papa, finisce qui. Non finisce, invece, la tua e la mia battaglia, ciascuno nella modestia di ciò che rappresentiamo e di quanto riusciremo e sapremo fare. Resisti, ti prego, dammi la forza per andare avanti. Aiutami a far capire che per essere “realmente” vicini alle persone più fragili e alle loro famiglie è indispensabile che i diritti non siano affermati solo sulla carta, ma vengano riconosciuti, rispettati e soprattutto applicati.
Fonte: Redattore Sociale
30/11/2020