“La salute mentale è un diritto, basta fare finta di niente”
Il bisogno di assistenza psicologica non è più rimandabile. Ma nel 2019 solo 1 cittadino su dieci con problemi di salute mentale accede ai servizi pubblici. Dal 2013 al 2018 il personale è calato di 646 unità. E, se si guarda ai territori, la situazione è ancora più allarmante: in Calabria ad esempio ci sono solo 80 dipendenti. L’ordine e 19 società scientifiche hanno scritto una lettera al governo.
La pandemia ha scoperchiato il vaso di Pandora dell’inadeguatezza dei servizi psicologici nelle aziende sanitarie pubbliche, che soffrono di un’annosa carenza di personale e non sono in grado di erogare tutto il vasto mandato previsto dai Lea (i livelli essenziali di assistenza). Oggi più che mai è prioritario far fronte al bisogno di salute mentale dei cittadini, peggiorata in questo periodo di isolamento sociale, e investire nell’assunzione di psicologi. È questo il forte appello che il Cnop (il Consiglio dell’ordine degli psicologi) e 19 società scientifiche di area psicologica rivolgono in una lettera al governo e al Parlamento, chiedendo l’immediata attivazione di “voucher psicologici”, ossia “pacchetti” di colloqui per famiglie e individui direttamente impattati dal Covid, già proposto a giugno anche dalla task force di Vittorio Colao. “Sono stati fatti bonus per tutto, vacanze, bici e monopattini, ma il sostegno psicologico è finito nel dimenticatoio. In nove mesi per la salute psicologica le risorse pubbliche sono le stesse di prima della pandemia” segnala David Lazzari, presidente del Cnop. Il numero verde di supporto psicologico istituito da ministero della Salute e Protezione civile con la preziosa collaborazione gratuita di psicologi di associazioni e società scientifiche, ha messo in evidenza la grande richiesta di aiuto da parte dei cittadini: il servizio, attivo da fine aprile a fine giugno, ha ricevuto circa 60mila contatti. Di questi, il 30 per cento ha usufruito di un ascolto più approfondito, ricevendo in media tre colloqui (il numero massimo consentito era quattro).
Le motivazioni più frequenti sono state legate a stati d’ansia, depressione, altre problematiche pregresse emerse a causa del coronavirus, o elaborazione di un lutto (questa richiesta è raddoppiata con la fine del primo lockdown). Il bisogno di assistenza psicologica non è più rimandabile dunque. Ma secondo un’indagine condotta dal Cnop nel 2019 solo un cittadino su dieci con problemi di salute mentale accede ai servizi pubblici. Perché le liste di attesa a volte sono proibitive. Per un primo colloquio si possono aspettare fino a sei mesi. Anche nove se si tratta di un minore. E allora chi può va nel privato e ogni mese paga la terapia quasi come l’affitto di una stanza. Mentre l’indigente ci rinuncia e starà sempre più male. Tutto questo perché non ci sono abbastanza psicologi assunti. Prendendo gli Annuari statistici del ministero della Salute, dal 2013 al 2018 (ultimo anno disponibile) si rileva una diminuzione di 646 unità di personale dipendente: da 5675, cioè 9,5 ogni 100mila abitanti, a 5029, quasi 8,4 ogni 100mila abitanti. “Per garantire l’assistenza psicologica territoriale lo standard minimo sarebbero 15 psicologi ogni 100mila abitanti – osserva Daniela Rebecchi, ex direttrice dei servizi di psicologia dell’Ausl di Modena e membro del tavolo ministeriale sulla salute mentale -. È ora che venga data dignità a questo servizio, che porta benessere e un risparmio per il Servizio sanitario nazionale. Una persona che soffre non va al lavoro, trascura i figli, ricorre più frequentemente all’ospedale e all’assunzione di farmaci, aggravandosi e non risolvendo mai il suo problema”. “Sono ormai passati molti mesi dall’inizio della pandemia e le forme di disagio psicologico sono aumentate e aggravate – come dimostrano tutti gli studi effettuati – con impatto sulle varie dimensioni della vita e sulla salute” scrivono gli esperti nell’appello, sottolineando “la necessità di ‘mettere a sistema’, in modo strutturale, la prevenzione psicologica, la promozione del benessere psicologico, l’ascolto, il sostegno, la psicoterapia, utilizzando al meglio i grandi contenitori della società: la sanità, la scuola, il welfare, il mondo del lavoro”.
Litigiosità elevata, comportamenti autolesivi, tentativi di suicidio, violenza domestica, aumento dei disturbi alimentari e di personalità, ossessioni esasperate, ansia e paura per l’indeterminato, tristezza e depressione per l’improvvisa perdita di lavoro. Sono alcuni dei malesseri preesistenti che lockdown e pandemia hanno scatenato. “Le condotte impulsive sono in forte crescita, si arriva a usare il coltello come minaccia in casa, c’è chi si lava le mani con acqua ossigenata fino a provocarsi lesioni e obbliga gli altri a igienizzarsi di continuo per paura di infettarsi – racconta Camillo Loriedo, presidente della Società italiana di psicoterapia. “L’isolamento – continua – ha fatto maturare anche nuovi problemi nei bambini che hanno vissuto la chiusura della scuola come un rifiuto nei loro confronti e negli adolescenti che stavano provando a integrarsi coi coetanei e ora si sentono abbandonati. L’assistenza nel pubblico è praticamente scomparsa, le Asl potrebbero fare delle convenzioni con le onlus formate dagli psicologi che insegnano nelle scuole di formazione. La soluzione del voucher non può che essere estemporanea. Abbiamo una grande offerta di professionisti, è un peccato sprecarla”.
Rita Ardito è a capo della società italiana di terapia comportamentale e cognitiva: “I pazienti sono senz’altro aumentati durante la pandemia. La fascia di età si concentra dai 20 ai 50 anni. Chi ha preso il Covid vive un senso di angoscia legato al non sentirsi più padrone della propria vita. L’isolamento ha costretto molti a misurarsi con vuoti interiori e con la solitudine mai vissuta prima. La salute mentale – ribadisce – è un diritto e una condizione indispensabile per il rilancio del nostro Paese. La politica non può più fare finta di niente e deve darsi da fare per assicurare l’accesso a servizi pubblici adeguati”. C’è anche chi in quarantena si è trovato senza un lavoro dalla sera alla mattina e ha dovuto interrompere la terapia che già pagava a un prezzo agevolato, offerta da uno degli psicologi del network “Psicoterapia aperta”, rivolto appunto a chi ha difficoltà economiche. “Le sedute hanno tariffe sociali dai 25 ai 40 euro – spiega Luigi D’Elia, lo psicologo promotore della rete, nata nel 2018, con oltre 1200 professionisti da tutta Italia -. Le richieste sono aumentate almeno del 30 per cento da marzo scorso. Mi hanno contattato italiani anche dall’estero. Tanti ventenni con disturbi relazionali, che si sono chiusi ancora di più con la serrata di scuole e luoghi di incontro, coppie che scoppiano. Insonnia, depressione, ansia, perdita di qualsiasi interesse sono altri disturbi da stress post traumatico più presenti oggi. Il vero problema – avverte lo psicologo – sono le persone rimaste senza uno stipendio che hanno interrotto la terapia e nessuno riesce a intercettare”.
Le attività di competenza psicologica alla luce dei nuovi Lea sono tantissime. Almeno sulla carta. Gli psicologi oltre che nei consultori famigliari, nei centri di salute mentale e nei servizi per le dipendenze, dovrebbero essere arruolati nei percorsi di cure palliative, nell’assistenza ai minori con disturbi neuropsichiatrici, alle persone con disabilità, ai pazienti oncologici o cronici con disadattamento alla malattia, agli anziani, nei trattamenti residenziali extraospedalieri. Ma nella pratica soddisfare tutti questi bisogni per le aziende sanitarie regionali è quasi impossibile. “Non riesco a garantire la presenza costante dello psicologo in nessuno dei centri psicosociali territoriali, dove ci sono tempi di attesa fino a sei mesi – spiega Elena Vegni, responsabile della Psicologia Clinica dell’Asst Santi Paolo e Carlo di Milano -. Anche i consultori sono sottodimensionati, si aspettano almeno quattro mesi per il primo incontro, non sempre siamo in grado di offrire un trattamento di psicoterapia adeguato, ma diamo risposta a tutte le urgenze, che possono riguardare donne o bambini abusati, depressione post partum o un aborto. La neurospichiatria infantile invece è in sofferenza”.
I trattamenti psicologici per i bambini con disturbi mentali sono gravemente insufficienti un po’ in tutta Italia. “Da noi la lista di attesa è di nove mesi, siamo invasi dalle richieste di valutazione da parte dei tribunali, che hanno scadenze precise e lasciano poco spazio al resto” afferma Giancarlo Marenco, che dirige la Psicologia dell’Asl di Asti, oltre a essere il presidente dell’ordine degli psicologi del Piemonte. È complicato dare assistenza nell’età evolutiva anche nelle asl della Toscana o del Lazio. In Puglia, all’asl di Taranto, ci spiega la dottoressa Dora Chiloiro, responsabile del dipartimento di Psicologia, “la richiesta più alta arriva da adolescenti e giovani adulti di età compresa tra 15 e 25 anni ma è difficilissimo soddisfarla. Così come non riusciamo a redigere tutte le diagnosi di ritardi mentali o demenze che ci chiedono tribunali, scuole, neurologi, centri di salute mentale. Siamo troppo pochi per fare tutto, questa pandemia ha fatto emergere con tutta evidenza la disattenzione della politica verso i servizi psicologici”. In Sardegna, conferma Angela Quaquero, presidente dell’ordine regionale di categoria, “la presa in carico di un paziente per un percorso di psicoterapia è pressoché infattibile. I servizi sono del tutto insufficienti rispetto ai bisogni di salute. Il rischio è che chi ha un disagio mentale, non trovando ascolto, si affidi al farmaco. Ma senza un percorso di accompagnamento il farmaco da solo non porta al cambiamento e alla consapevolezza dei propri disagi”. La situazione più tragica però è in Calabria.
“Fino a dieci anni fa c’erano 300 psicologi nel servizio sanitario calabrese, ora siamo rimasti un’ottantina, sebbene i Lea da soddisfare siano molti di più, e scenderemo entro giugno a 50 unità a causa dei pensionamenti se non si procede con nuove assunzioni” fa un triste punto Armodio Lombardo, presidente dell’ordine degli psicologi calabrese e responsabile del centro di salute mentale di Mesoraca (Crotone). “Già adesso, in queste condizioni, non riusciamo a ottemperare ai Lea – prosegue -. In uno dei tre centri di salute mentale dell’asp di Crotone non c’è neanche uno psicologo, è rimasto soltanto uno psichiatra per tutti gli assistiti. In due consultori su tre mancano gli psicologi perché andati in pensione. Anche l’unico sert è sprovvisto di psicologi e le attese sono incalcolabili”. La fascia di età 0-18 è completamente abbandonata. Bambini e adolescenti con autismo, disturbi dell’apprendimento, del linguaggio, del comportamento alimentare, con problemi d’ansia o di condotta non possono contare sulle strutture pubbliche del teritorio. Perché, denuncia Lombardo, “in tutta la Calabria non esistono neuropsicologi per i minori”.
di Chiara Daina
Fonte Il Fatto Quotidiano
07/01/2021