Secondo il gruppo Caregiver familiari comma 255 se qualcuno ritiene un’offesa parlare di sentimenti come disagio o vergogna nella condizione di caregiver familiari è ben lontano dal nostro mondo e dalla nostra condizione
Torniamo ancora sulla polemica scatenata dalla distribuzione di un questionario alle famiglie di caregiver, in un comune laziale, volto alla rilevazione dello stresso vissuto da famiglie che prendono cura a tempo pieno di congiunti non autosufficienti, che chiedeva di rispondere con una valutazione da uno a quattro a domande come “mi vergogno di lei/Lui”, riferite al familiare con disabilità.
Si tratta di una tipologia di rilevazione denominata CBI, Caregiver Burden Inventory (letteralmente stima del carico del caregiver), utilizzato peraltro anche in altre Regioni per monitorare le condizioni di stress dei caregiver.
Sul caso c’è chi, caregiver, non manifesta tanto una indignazione per la scelta e il tono con cui sono state poste alcune domande, ma rileva piuttosto un disinteresse diffuso per questa figura. E’ il caso del gruppo Caregiver familiari COMMA 255, secondo cui se la polemica imperversa per l’uso della Caregiver Burden Inventory è perché dei caregiver familiari non interessa a nessuno.
Il gruppo ricorda, attraverso la portavoce Sofia Donato, che la CBI è una scala di autovalutazione dello stress che si usa dagli anni ’90 in molti ambiti, adottata da diverse regioni italiane.
Ne viene poi riscostruita l’introduzione e l’utilizzo: In occasione del riparto del primo fondo dedicato interamente ai caregiver familiari – art. 1, comma 254 della Legge 205/2018, fondo nato per legiferare sulla materia e poi, invece, distribuito alle regioni – in assenza di una legge nazionale che definisca la platea dei caregiver familiari, alcune regioni hanno ritenuto di adottare la CBI, altre sperimentano la scheda “Francescutti” (dal nome del presidente della commissione istituita in seno al Ministero del Lavoro).
Secondo il gruppo la polemica “sbaglia il bersaglio”: lo scandalo non è la somministrazione del questionario, né i quesiti che riporta, né il linguaggio: se qualcuno ritiene un’offesa parlare di sentimenti come disagio o vergogna nella condizione di caregiver familiari è ben lontano dal nostro mondo e dalla nostra condizione.
Una vita obbligata e non scelta, come quella del caregiver familiare, vincolata in ogni momento della giornata, comporta nel proprio percorso anche il riconoscimento ed il superamento di questi sentimenti naturalmente umani, imposti dalla nostra società performante e per nulla attenta all’altro né inclusiva.
Nella querelle politica pre elettorale ci si dimentica che esiste un esercito di caregiver familiari che attendono di veder riconosciuta la loro dignità di cittadini.
Infine, il vero appello, lanciato attraverso l’amarezza di chi si sente dimenticato e ignorato: I caregiver familiari sono un esercito silenzioso, disilluso e allo stremo delle forze. Genitori, fratelli, coniugi, figli, familiari conviventi di persone con disabilità grave a cui con infinito amore, responsabilmente e necessariamente, dedicano la loro vita. Sono coloro che accudiscono un congiunto con disabilità grave, convivente che non ha la possibilità o la capacità di individuare ed esprimere le proprie necessità, frustrazioni e desideri.
Traduttori delle loro esigenze, interpreti dei loro desideri, organizzatori del loro quotidiano, progettisti del loro futuro durante e dopo di noi, registi dei servizi alla persona con disabilità di cui i nostri congiunti vivono.
Un esercito che, effettivamente, si vergogna… di una società che grida allo scandalo ma non entra mai nel contesto e nella vita dei cittadini per garantire loro i sostegni dovuti. Sostegni, non servizi!
Fonte: Dsabili.com
28/06/2022