Che succede se una persona non autosufficiente si ammala di coronavirus?

Che succede se una persona non autosufficiente si ammala di coronavirus?

pubblicato in: DIRITTO ALLA SALUTE, NOTIZIE | 0

Siamo nel pieno della cosiddetta seconda ondata di diffusione del virus Covid-19. Il nostro Paese, il mondo intero, è in una crisi sanitaria e sociale a memoria d’uomo senza precedenti. Mio figlio è un ragazzo con autismo, ha tredici anni, vive a Roma e frequenta la seconda media.
In questa situazione mi chiedo cosa potrebbe succedere a lui, che non parla e fa molta fatica a relazionarsi e a farsi capire da chi non lo conosce, se dovesse essere contagiato e ammalarsi? Direte che le probabilità di ammalarsi, se contagiato, sono remote perché è giovane. Può darsi, ma le persone disabili adulte, con o senza autismo, come vengono assistite? E noi genitori cosa potremmo fare dato che quasi certamente saremmo contagiati anche noi vista la necessità del contatto fisico che purtroppo per alcuni di loro è l’unica modalità con la quale interagiscono.
Me lo chiedo perché non mi piace il silenzio che oggi è calato nei confronti della disabilità. Non mi piacciono gli arroganti che sfasciano le vetrine dei negozi di quei commercianti che dicono di voler difendere con la loro protesta. Non mi piace il post del Governatore della Liguria, Giovanni Toti, che definisce gli anziani “persone non indispensabili”. Non mi piace leggere che la crisi sanitaria potrebbe portare a dover decidere, in assenza di posti letto per i malati da assistere, chi scegliere di curare e chi no.
Il silenzio di questi giorni testimonia l’atmosfera spietata che c’è in giro. Il governo prova a contenere il contagio cercando di garantire i nostri diritti, a partire da quello del lavoro e dell’istruzione, ma gli strumenti a disposizione, quelli finora usati per gestire le emergenze del passato, sono insufficienti rispetto alla gravità della situazione attuale.
In questa situazione milioni di italiani che convivono come me – e nostro malgrado – con la disabilità sono molto preoccupati per le scelte che saranno prese nelle prossime settimane e per le conseguenze che queste avranno nella nostra vita.
Perché le scelte nei momenti storici così difficili misurano il valore dei principi etici e morali ai quali ci si ispira, e rispetto ai quali non si intende venir meno.
Nella scuola, avviata inevitabilmente verso la chiusura, la scelta di mantenere la didattica in presenza solo per gli alunni disabili è giustissima. Una scelta presa dopo la fallimentare esperienza per questi ragazzi della didattica a distanza durante il lockdown della primavera scorsa per la loro impossibilità ad usare tablet e computer che conferma come solo il rapporto “di persona” con gli insegnanti, adottando ovviamente tutte le misure di protezione, è efficace per il loro apprendimento.
Per i centri diurni sarà invece necessario sostenere la loro volontà di restare aperti, anche qui impegnandosi a offrire la massima sicurezza, per aiutare le famiglie che lo desiderano, specie quelle che devono poter continuare a lavorare, a ricevere un aiuto concreto nella gestione dei loro familiari disabili mai come oggi così necessaria.
E poi ci sono le comunità residenziali. Quelle di cui nessuno parla, dove vivono stabilmente persone con disabilità. In quanti di questi centri ha fatto breccia il Covid-19? Non lo sappiamo. E come gestiscono, laddove avvenga, il decorso della malattia che colpisce i loro residenti? Anche di questo si parla pochissimo.
Le risposte del governo a queste richieste e a queste domande ci aiuteranno a capire su quali valori esse poggiano. Infatti se oggi qualcuno nella gestione di questa crisi può anche solo immaginare di ritenere gli anziani “non indispensabili”, quale altra categoria questo qualcuno metterà nella sua lista di persone “sacrificabili”? I disabili? E dopo loro chi altri? Quelli al di sotto di un certo reddito? Oppure quelli con un livello di istruzione non adeguato?
Non chiudiamo le finestre. In passato chi l’ha fatto alla fine è stato travolto dall’atmosfera che ha voluto ignorare. E c’è voluta una guerra per tornare a respirare la libertà. Fino ad oggi, le scuole e le corsie d’ospedale sono state quelle di un paese democratico dove si è tutti uguali perché si è tutti diversi. E dove il giuramento d’Ippocrate che i medici fanno per svolgere la loro professione recita: “giuro di curare ogni paziente con scrupolo e impegno, senza discriminazione alcuna, promuovendo l’eliminazione di ogni forma di diseguaglianza nella tutela della salute”.
È tempo di fare tutti questo giuramento, per tutelare la nostra salute, quella dei nostri cari e quindi quella di tutti noi.
Anche così sconfiggeremo il Covid-19. Anche cosi difenderemo i nostri valori democratici. Anche così torneremo a respirare la libertà senza la quale diventiamo solo un numero tatuato su un braccio, una cartella clinica ai bordi di un letto, un nickname sul computer.

Fonte: L’Huffington Post

03/11/2020