Andrea Venuto, disability manager di Roma Capitale: “Ho sottoposto allo staff di Conte la necessità del protocollo chiesto dai caregiver. E la presidenza ha inviato richiesta ufficiale al ministero della Salute, da cui attendiamo riscontro. Problema molto serio, per pazienti con disabilità, anche sensoriale”. E sui vaccini: “Chi ha assistenti domiciliari, è più esposto a rischio, a causa dell’avvicendarsi di questi”
ROMA. Mai più pazienti non autosufficienti in ospedale da soli. Mai più caregiver lasciati fuori, senza permettere loro di prendersi cura, come fanno da una vita, dei loro familiari. É l’auspicio, la richiesta e l’appello che, indirizzata dalle associazioni di caregiver Oltre lo Sguardo ed Hermes al ministero della Salute, ora viene rinforzata anche della presidenza del Consiglio, che allo steso dicastero ha rivolto ufficialmente una richiesta di protocollo dedicato. E’ quanto riferisce a Redattore Sociale Andrea Venuto, Disability manager di Roma Capitale. “Ho letto e condiviso l’appello e la lettera delle associazioni – spiega – e ritengo la questione assolutamente prioritaria. Il cargiver è una soluzione, non un problema – afferma – Bisogna immediatamente costruire un protocollo utile a garantire le strutture sanitarie e soprattutto le persone con disabilità. Per questo, ho chiesto al governo di approfondire la questione, affinché ci sia un indirizzo politico chiaro e condiviso su questo tema. Subito”,
L’occasione si è presentata quando lo stesso Venuto è entrato in contatto con il commissario Arcuri e con lo staff di Conte: “Il tema dell’interlocuzione erano i vaccini: avevo infatti inviato una nota al commissario, chiedendo che almeno le persone con disabilità gravissima fossero considerate come beneficiarie prioritarie nelle prime fasi della vaccinazione. Ho approfittato, in quella circostanza, per parlare con lo staff del premier Conte che si occupa di disabilità anche della questione ospedali e della necessità di un protocollo specifico. E posso oggi annunciare un’evoluzione positiva: un paio di giorni fa, la stessa presidenza del Consiglio ha ufficializzato la richiesta al ministero della Salute, da cui ora attendiamo fiduciosi un riscontro”.
La questione, insomma, è sul tavolo del ministero della Salute, “a cui spetta il compito di definire e dettagliare il protocollo stesso. L’obiettivo è porre fine alla discrezionalità con cui oggi le singole direzioni sanitarie decidono se far accedere o meno il caregiver familiare, in caso di ricovero di paziente con disabilità. Noi possiamo pensare che una simile richiesta venga sempre accolga, ma in assenza di protocollo preciso, è sempre possibile che il caregiver sia lasciato fuori. Ora, l’azione politica e amministrativa è stata fatta: tocca al ministero attivarsi e mi auguro che lo faccia al più presto, essendo la questione urgente e prioritaria”.
Tanti sono infatti, in tutta Italia, i casi di persone non autosufficienti per le quali si renda necessario il ricovero a causa del virus. “In questi casi, è indispensabile che il caregiver familiare supporti l’attività del personale socio sanitario. Immaginiamo un ragazzo o un adulto autistico dentro un reparto Covid: è prevedibile quante problematiche anche gravissime si possano creare. Tanti sono i familiari, soprattutto di ragazzi con autismo, che mi contattano per manifestare la propria preoccupazione, terrorizzati dal pensiero che il figlio possa risultare positivo e avere necessità di essere ricoverato”.
Il problema, naturalmente, riguarda anche tanti anziani, “spesso anche loro non autosufficienti e impossibilitati a comunicare con il personale sanitario. Lo stesso problema di comunicazione riguarda i pazienti con disabilità sensoriale, in particolare quelle sorde: la comunicazione orale è alla base del rapporto sanitario-paziente e, quando questa sia compromessa, si rende indispensabile una intermediazione, o tramite servizi dedicati (in LIS, per esempio) o tramite appunto il caregiver”. Un problema da affrontare con urgenza, nell’emergenza sanitaria che stiamo attraversando: “Ma questo deve rappresentare solo il primo step di un’attenzione che sarà necessario estendere, in generale, alla questione complessa dell’accesso alle cure e agli ospedali da parte di persone con disabilità e caregiver familiari”.
Vaccino e assistenza domiciliare: una priorità
C’è un’altra questione, che Andrea Venuto ha sollecitato presso il premier Conte e il commissario Arcuri: la somministrazione del vaccino anti-Covid, non appena sarà disponibile. La richiesta è che siano considerate “tra le categorie di persone fragili da sottoporre prioritariamente alla vaccinazione, quella relativa a coloro i quali usufruiscono dell’assistenza domiciliare integrata”. Come ricorda Venuto, tale servizio è rivolto “a persone non autosufficienti con patologie solitamente oncologiche o croniche ed ha come obiettivo quello di garantire loro un’assistenza sanitaria adeguata nell’ambito del proprio domicilio e al di fuori di un contesto ospedaliero o di una RSA, ed è integrata con i servizi socio-assistenziali. La presente richiesta – precisa Venuto – che tra l’altro si inserisce nella più ampia e seria problematica concernente il riconoscimento della stabilità assistenziale da parte degli operatori domiciliari, è dettata appunto dal fatto che gli assistiti in questione sono pazienti ad alta intensità assistenziale colpiti da malattie rare e degenerative, con alta percentuale di ricorso a ventilazione meccanica assistita invasiva h24, bisognosi di un’assistenza continua che purtroppo, allo stato attuale, non è caratterizzata dalla prerogativa della esclusività prestazionale”.
Da qui deriverebbe la maggiore esposizione di queste persone al rischio di contagio: l’alternarsi degli operatori domiciliari (OSS ed Infermieri), che non operano in contesti ospedalieri ma presso l’abitazione di questi pazienti, aumenta il rischio di innalzare la probabilità di contagio da Covid-19 con inevitabili conseguenze letali configurando per questi pazienti con disabilità gravissima la fattispecie di “soggetto altamente fragile e maggiormente esposto al contagio”. Tra l’altro, tali operatori sanitari, non saranno i primi ad essere vaccinati in quanto, operando in regime domiciliare e alle dipendenze – se non addirittura in regime di libera professione – di soggetti erogatori che non rispondono prontamente agli obblighi dei vari decreti in materia sanitaria, saranno di difficile vigilanza dal punto di vista vaccinale. Gli stessi familiari di questi pazienti saranno soggetti che verranno vaccinati comunque in seguito e quindi possibili portatori del virus all’interno dell’abitazione dove è presente il soggetto con disabilità gravissima e altamente fragile.
A titolo ricognitivo si evidenzia che sul piano nazionale risulterebbe che il numero degli assistiti ADI si aggiri a circa 20.000 persone (circa 600 solo per la Regione Lazio) le quali, come sopra rappresentato, non godendo in alcuni casi di molte garanzie sull’erogazione delle misure anti Covid- 19 (spesso mancano gli adeguati DPI perché non correttamente forniti al personale sanitario dagli erogatori dei servizi assistenziali), costituiscono una realtà di accertata incompatibilità tra le condizioni di salute dei pazienti e il profilo dell’assistenza domiciliare rappresentando di fatto un fattore aumentato del rischio quoad vitam nel caso di infezione da Covid -19”.
Fonte: Redattore Sociale
10/12/2020