Disabilità: qual è l’impatto sul contesto famiglia?

Disabilità: qual è l’impatto sul contesto famiglia?

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I risultati di una indagine BVA Doxa e Fondazione Paideia mettono in luce alcuni dati emersi in seguito a focus group che hanno coinvolto operatori sociali, professionisti sanitari e familiari di bambini con disabilità, sui temi: rete e percezione di aiuto, scuola, servizi socio-sanitari, informazioni, tempo libero, lavoro, futuro dei figli

Quanto impatta la disabilità nel sistema familiare? In che modo nascita di un bambino disabile e, in generale, la presenza di un componente con disabilità aumenta le spese per la famiglia, comporta carichi di cura, incide sulle prospettive di carriera, su e sul tempo libero, rispetto a nuclei senza componenti con disabilità? Ha studiato la questione una indagine condotta da BVA Doxa e da Fondazione Paideia, per esplorare l’impatto della disabilità sul sistema familiare.

INDAGINE SULLE FAMIGLIE
I risultati sono tati presentati ieri a Torino, nell’ambito di Inclusì , il festival incentrato dedicato a disabilità infantile inclusione sociale in corso in questi giorni nel capoluogo piemontese, promosso da Paideia.
L’indagine è stata condotta attraverso 988 famiglie italiane con bambini e ragazzi fino a 18 anni di età, di cui un terzo con disabilità. L’indagine, ove possibile, ha posto quindi a confronto le evidenze provenienti dai due campioni: famiglie in cui è presente o famiglie in cui non è presente un bambino o ragazzo con disabilità.

ALCUNI RISULTATI IN SINTESI
I dati restituiscono un quadro complesso sotto più aspetti, evidenziati anche da Fabrizio Serra, Segretario Generale della Fondazione Paideia. In sintesi, sicuramente l’impatto di una disabilità sulle possibilità di carriera che vanno ad incidere profondamente sui genitori, in particolare sulle madri. Altro punto crociale, l‘aspetto economico, con un 81% di rispondenti all’indagine che hanno dichiarato di aver dovuto sostenere di tasca propria a spese per prestazioni private per il figlio con disabilità.
Infine, balza all’occhio ancora una volta il tema del Dopo di noi, con la preoccupazione dei genitori per il futuro dei propri figli con disabilità, quando loro non ci saranno più.

I DATI PER TEMI
Di seguito, alcuni dei risultati dell’indagine, relativi ad alcune aree tematiche (scuola, lavoro, tempo libero, rete di aiuto, ecc).

RETE E PERCEZIONE DI AIUTO
Rispetto al supporto ricevuto dal proprio intorno, alla domanda “Quanto si sente supportato da nonni, amici o altre persone (baby-sitter o figure esterne) nella gestione delle Sue attività pratiche quotidiane?” il 63% dei rispondenti che hanno figli con disabilità dichiara di sentirsi “molto” (29%) o “abbastanza” (34%) supportato, con valori simili che vengono rilevati per la parte di famiglie in cui non è presente un minore con disabilità. I numeri sono molto diversi rispetto al genere dei genitori: rispetto alla risposta “molto”, i padri di bambini o ragazzi con disabilità si sentono più supportati (41%) delle madri (24%), le quali invece dichiarano nel 17% dei casi “per nulla” contro il 2% dei padri.
La percezione di supporto, inoltre, risulta più forte a Sud e isole, con il 75% di genitori di bambini con disabilità che dichiarano di essere “molto” o “abbastanza” supportati rispetto al 59% del Nord Ovest.

SCUOLA
Per il 77% delle famiglie italiane in cui non è presente un figlio con disabilità, la presenza di bambini con disabilità condiziona positivamente le attività scolastiche, perché favorisce nuove forme di apprendimento (51%) o migliora il clima in classe (26%).
Per il 14% la presenza di bambini con disabilità non condiziona in alcun modo le attività scolastiche (dato che si attesta al 7% per i genitori di bambini con disabilità), mentre secondo il 9% delle famiglie che non hanno figli con disabilità condiziona negativamente le attività perché rende faticoso il clima in classe (5%) o rallenta la didattica (4%), una voce che si ferma al 2% per quanto riguarda il Nord Ovest e che raggiunge l’11% per Sud e isole.
Per quasi 1 genitore su 3 di bambini con disabilità la scuola aiuta “poco” (26%) o “per nulla” (5%) il figlio a sviluppare una maggiore autonomia, mentre il 26% dei genitori di bambini con disabilità ritiene che la scuola aiuti “poco” (21%) o “per nulla” (5%) nella socializzazione.

SERVIZI SOCIO-SANITARI
L’81% degli intervistati che hanno figli con disabilità ha dichiarato di aver acquistato prestazioni sanitarie private per i propri figli nell’ultimo anno, mentre il dato che riguarda le famiglie in cui non è presente un figlio con disabilità si ferma al 60%. Di questi ultimi, il 41% ha dichiarato di aver speso meno di 500 Euro nell’ultimo anno, il 4% tra i 1.000 e i 2.000 Euro e soltanto il 2% ha dichiarato una spesa superiore a 2.000 Euro. Tra i genitori di bambini con disabilità, invece, il 27% ha dichiarato di aver speso oltre 2.000 Euro nell’ultimo anno per l’acquisto di prestazioni sanitarie private per i propri figli e il 14% tra i 1.000 e i 2.000 Euro.

INFORMAZIONI
Una parte dell’indagine si è concentrata sulla facilità di reperimento delle informazioni in merito a servizi socio-sanitari, scuola, tempo libero e diritti come genitori. La voce più negativa riguarda la facilità di reperimento di informazioni sulle risorse del territorio e l’impiego del tempo libero: per il 59% dei rispondenti che hanno figli con disabilità la facilità è “poca” (41%) o “nulla” (18%), rispetto al 35% delle famiglie in cui non è presente un figlio con disabilità.

TEMPO LIBERO E VACANZA
Alla domanda “Quanto spesso riuscite a dedicarvi un’occasione di svago e tempo libero come adulti, senza bambini?”, il 36% delle famiglie con bambini con disabilità dichiara “mai” (40% delle madri rispetto al 25% dei padri), contro il 24% delle famiglie in cui non è presente un figlio con disabilità (29% delle madri rispetto al 18% dei padri).
Oltre ai quesiti relativi al tempo libero, è stata formulata una specifica domanda relativa alle occasioni di “vacanza”. Le famiglie che dichiarano di godere di occasioni di vacanza “una volta l’anno” risultano il 57% di quelle in cui sono presenti bambini con disabilità rispetto al 62% di quelle in cui non sono presenti. Risulta identica la percentuale di rispondenti che dichiara di non usufruire “mai” di occasioni di vacanza come famiglia, il 9% di entrambi i campioni. Dato che arriva al 27% per quanto riguarda i genitori di bambini con disabilità con reddito fino a 1.500 Euro (due punti percentuali in più rispetto alle famiglie nella stessa fascia di reddito che non hanno figli con disabilità, al 25%).

LAVORO
Il 64% delle madri di bambini o ragazzi con disabilità ha dichiarato di aver chiesto la riduzione dell’orario di lavoro da quando è diventato genitore, rispetto al 42% delle madri che non hanno figli con disabilità. Divergente anche il confronto tra i padriil 38% di chi ha un figlio con disabilità ha richiesto una riduzione di orario rispetto al 19% dei padri di figli che non hanno una disabilità.
Il 34% dei genitori di bambini con disabilità intervistati ha dichiarato che l’essere genitore “ha condizionato moltissimo” (voto da 9 a 10) i possibili avanzamenti di carriera, con un picco che riguarda le madri (41%) rispetto ai padri (15%), a confronto con il 17% riferito alle famiglie in cui non è presente un figlio con disabilità.

Un rispondente su due del campione di genitori di figli con disabilità ha vissuto una esperienza di discriminazione sul luogo di lavoro, con il 17% che ha dichiarato “moltissime volte”. Anche in questo caso il dato che riguarda le madri di figli con disabilità che hanno dichiarato di essersi sentite discriminate “moltissime volte” (voto 9 e 10) è superiore (21%) a quello dei padri (9%).
Quali sono i motivi per cui i rispondenti non lavorano o non hanno mai lavorato? Il 25% delle madri di figli che non hanno una disabilità dichiara che “il carico familiare non mi permette di avere tempo per un lavoro”, dato che raggiunge il 44% se si prende in considerazione il campione riferito alle madri di bambini con disabilità.

FUTURO DEI FIGLI
Una sezione finale dell’indagine è stata dedicata al tema della preoccupazione per il futuro dei figli.
Il 61% delle famiglie in cui è presente un figlio minorenne con disabilità si dichiara “molto” preoccupatarispetto al 38% delle famiglie in cui non è presente un figlio con disabilità. In particolare le madri di bambini o ragazzi con disabilità si dichiarano “molto” preoccupate nel 70% dei casi o “abbastanza” preoccupate nel 25% dei casi, rispetto al 38% (“molto”) e 50% (“abbastanza”) dei padri.
Le preoccupazioni maggiori riguardano, per 1 famiglia su 2 che ha un bambino o ragazzo con disabilità, la “capacità dei figli di sopravvivere ai genitori, anche quando questi non ci saranno più” (voce che si ferma al 10% per il campione riferito alle famiglie in cui non sono presenti minori con disabilità). A seguire, tra i genitori di figli con disabilità, la voce riferita alla “salute” (20%, rispetto al 27% delle famiglie in cui non è presente un figlio con disabilità), “relazioni amicali e sentimentali” (11%, rispetto al 6%), “lavoro” (7%, voce invece al primo posto con il 30% per quanto riguarda le famiglie in cui non è presente un figlio con disabilità), “indipendenza economica dai genitori” (7% rispetto al 15%) e, in ultima posizione, i “fattori esterni” (cambiamento climatico, guerre, ecc.) che si attestano al 4% rispetto al 13% percepito dalle famiglie in cui non sono presenti figli con disabilità.

COMMENTI
“Nell’analizzare l’indagine – commenta la sociologa Chiara Saraceno – dobbiamo prima di tutto considerare la complessità del sistema familiare, fatto di dinamiche diverse: la famiglia non è un tutto omogeneo, ma è una microsocietà fatta da persone diverse con dinamiche, interessi e rischi diversi rispetto alla disabilità di un familiare a seconda che questo sia un figlio/a, fratello/sorella, partner, genitore.
Tra queste differenze contano anche quelle di genere. Il peso della cura quotidiana ricade spesso sulle donne, in particolare, nel caso la disabilità riguardi un figlio/a, sulle sole madri, che non riescono neppure ad immaginare di poter aver diritto ad un tempo per sé. Molte madri interpretano la rete di aiuto esclusivamente come supporto per fronteggiare la disabilità e non anche per avere tempo per sé, per qualcosa di proprio. Sicuramente colpisce il punto legato alla scuola e alla preparazione degli insegnanti di sostegno: forse dovremmo andare verso l’idea che tutti gli insegnanti dovrebbero essere preparati alla varietà dei bambini che hanno davanti. Una varietà che riguarda anche il tipo di difficoltà che possono sperimentare a livello scolastico. Possono avere disabilità, una origine migratoria recente, essere in condizioni familiari disagiate, o con altre difficoltà. Non si può pensare di delegare ogni singolo problema a uno specialista, moltiplicando le etichette categoriali. Sono questioni che dovrebbero entrare a far parte della formazione di ogni insegnante, a partire dalla consapevolezza che l’insegnamento non è pura trasmissione di conoscenze, ma innanzitutto sollecitazione delle capacità e desiderio di apprendimento, valorizzando e stimolando le capacità di ciascuno. Un altro punto che emerge dalla ricerca riguarda l’idea che madri e padri hanno rispetto al futuro: accompagnare i genitori al ‘dopo di noi’ vuol dire anche accompagnarli all’idea che i loro figli potrebbero avere legami affettivi importanti al di fuori di loro. Il dato relativo all’acquisto di prestazioni private, invece, racconta di un sistema sanitario non in grado di sopportare la quantità di domanda esistente, che ricade sulla responsabilità diretta dei padri e delle madri di bambini o ragazzi con disabilità, sovraccaricandole, ma anche accentuando le diseguaglianze sociali. Oltre che sostenute dal punto di vista economico, inoltre, le famiglie andrebbero accompagnate nella valutazione di quali attività sanitarie o di riabilitazione valga la pena di intraprendere oppure no, a prescindere dal fatto che se lo possano permettere o meno”. 

Fonte: Disabili.com

16/09/2023