Cos’è una psicoterapia e quali obiettivi si pone? Sandro Montanari risponde a queste domande con creatività e intensità emotiva, recuperando dai fondali della memoria un caro ricordo, che colora di significati alla luce della sua esperienza di vita. «È molto suggestiva – scrive tra l’altro – la metafora offerta dallo psichiatra e psicoanalista Harry Stack Sullivan, secondo il quale una psicoterapia può dirsi riuscita se le ferite che il paziente si porta dentro si sono trasformate, nel corso del processo terapeutico, in punti di inserimento per le ali»
L’Incontro
Desidero partire da una storia antica. Ero entrato nella Scuola Romana di Psicoterapia Familiare per fare il colloquio di ammissione al primo anno del Corso di Specializzazione. La segretaria mi fece accomodare in una stanza, dicendomi che il Professore (che io non avevo mai incontrato prima di allora) era in terapia, facendomi intuire che avrei dovuto attendere. Nella stanza trovai un bel bambino. Iniziammo subito a scambiarci sorrisi e a fare amicizia.
Dopo un po’ ci trovammo seduti per terra, l’uno a fianco dell’altro. Lui mi chiese se volessi giocare ai cowboy e agli indiani e non appena gli risposi di sì, mi disse con aria sbarazzina che avrei dovuto fare… il cavallo. Ormai avevo accettato, non potevo tirarmi indietro… e poi è risaputo che un adulto deve mantenere la parola data, soprattutto se la promessa è fatta a un bambino. Mi misi a quattro zampe, lui montò in groppa del suo improvvisato cavallo e via… più veloci del vento.
La profezia
Mentre cercavamo di sfuggire alle temibili frecce degli indiani, all’improvviso si affacciò alla porta il professor Carmine Saccu. Il bambino balzò da “cavallo” correndo verso il professore e gridando con gioia “papà!”. Io rimasi a terra a quattro zampe, con la testa all’insù, guardando a bocca aperta quella figura che dal basso era ancora più imponente di quanto avessi mai potuto immaginare. Dopo alcuni interminabili secondi, mi alzai imbarazzato.
Carmine mi guardò con un sorriso e mi disse «Tu non hai bisogno del colloquio di ammissione». «E perché?», chiesi io, pensando che ormai mi fossi giocato l’opportunità di essere ammesso alla Scuola di Specializzazione. «Perché ci sai fare coi bambini».
Questa frase «perché ci sai fare coi bambini» è rimasta scolpita nella mia mente, nel mio cuore, nel mio corpo e oggi la considero una sorta di incoraggiamento, un’esortazione, una profezia. Infatti, da allora ad oggi – sotto il profilo lavorativo – mi sono sempre occupato di bambini, di neonati, di adolescenti.
In volo
Il Maestro si riconosce anche dalla sua capacità di intravedere le potenzialità dell’allievo per farle emergere in tutta la loro leggerezza, liberandole dalle zavorre da cui sono avvolte.
In questo senso posso dire che per me il mio Maestro è stato, negli anni, un istruttore di volo e gli sono grato per questo. Mi ha aiutato a volare nel cielo luminoso, purtroppo a volte tempestoso, dei bambini. Certo, nel mio piccolo, con le mie modeste capacità, magari volando basso, spesso cadendo, ma comunque ricominciando a volare.
La relazione che libera
Sono convinto che uno dei compiti dello psicoterapeuta sia proprio questo: liberare il paziente dai legacci, dai pesi asfittici, dalle ridondanze, dai copioni ripetitivi di cui è costellata la sua vita, costruendo insieme a lui nuove storie che non misconoscano la sofferenza soggettiva, ma la attenuino o perlomeno le diano un senso.
In quest’ottica, è in primis il terapeuta a credere nel paziente, ad avere fiducia in lui, a intuire le sue risorse e a valorizzarle, a scorgere i suoi limiti e ad aiutarlo a trasformarli all’interno di un contesto accogliente ed empatico.
La trasformazione
In tale prospettiva, è molto suggestiva la metafora che ci offre Harry Stack Sullivan, secondo il quale una psicoterapia può dirsi riuscita se le ferite che il paziente si porta dentro si sono trasformate, nel corso del processo terapeutico, in punti di inserimento per le ali.
Fonte: Superando.it
25/11/2021