Le tavole della vergogna

Le tavole della vergogna

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Prendendole dal sito del ministero dell’Istruzione, ”la Repubblica” ha messo in pagina, l’8 febbraio, le tavole della vergogna. Sono le pubblicità con cui grandi istituti scolastici, orrendamente trasformati in aziende in concorrenza tra loro, si offrono ai possibili studenti e alle loro famiglie vantando la propria eccellenza col dire “Qui niente poveri né disabili”: la pubblicità classista dei licei, titola “la Repubblica”.

Il liceo Visconti di Roma così si raccomanda: “Le famiglie che scelgono il liceo sono di estrazione medio-borghese, per lo più residenti in centro. Tutti gli studenti, tranne un paio, sono di nazionalità italiana e nessuno è diversamente abile”; tradotto: né immigrati né handicappati. “La percentuale di alunni svantaggiati per condizione familiare è pressoché inesistente”, e tutto ciò, secondo la scuola, “favorisce il processo di apprendimento”.

Il liceo Andrea D’Oria di Genova si pavoneggia per l’assenza di poveri e disagiati, di nomadi o studenti di zone particolarmente svantaggiate; qui “il contributo economico delle famiglie sostiene adeguatamente l’ampliamento dell’offerta formativa”.

Il Parini di Milano si vanta del fatto che i suoi studenti hanno, “per tradizione, una provenienza sociale più alta rispetto alla media”.

Il “Giuliana Falconieri”, a Roma-Parioli, la mette così: “Gli studenti del nostro istituto appartengono prevalentemente alla medio-alta borghesia romana. Non sono presenti né studenti nomadi né provenienti da zone particolarmente svantaggiate”. È vero però che “negli anni sono stati iscritti figli di portieri e/o custodi di edifici del quartiere”, e ciò fa problema, perché “data la presenza quasi esclusiva di studenti provenienti da famiglie benestanti, la presenza seppur minima di alunni provenienti da famiglie di portieri o di custodi comporta difficoltà di convivenza dati gli stili di vita molto diversi”; come a dire: non lo faremo più. Il sistema scolastico del futuro dovrà ben distinguere tra scuole e discariche.

Redarguiti sui “social” per queste credenziali, i capi d’istituto si difendono dicendo che è il Ministero ad aver incluso questi elementi di giudizio nel questionario fornito alle scuole come base per redigere il loro “Rapporto di autovalutazione”.

Ma non è un incidente di comunicazione questo. È la istituzionalizzazione dello scarto, di cui sempre parla il papa, è il passaggio dalla società dell’uguaglianza, che sta scritta nella Costituzione, alla società della selezione, che si sta scrivendo nelle cose, e che è pronta ad esplodere.

Ma la selezione nella scuola, togliendo gli uni alla vista degli altri fa a pezzi la realtà, la rende irriconoscibile ed è perciò precisamente l’opposto di ciò che serve al processo formativo. E se la scuola, che è l’embrione della società, torna ad essere pensata in termini di selezione e di esclusione, vuol dire che così è pensata anche la società: non solo Roma, Milano o Genova, ma l’Italia, l’Europa, il mondo.

Una delle lotte del 68, quella rivoluzione incompiuta del Novecento, fu per l’integrazione scolastica: essa portò i bambini handicappati non solo nelle scuole di tutti, ma al centro del programma educativo, e nello stesso tempo portò i bambini non disabili a integrarsi senza paure e senza crisi di rigetto in una società di eguali e diversi. Non era una novità che riguardasse solo la scuola, era un cambiamento della politica e della società. C’è un vecchio libro del 2003, “Prima che l’amore finisca”, in cui quella storia è rievocata in un capitolo intitolato “Giuliana. Nessuno escluso”. Ne ripubblichiamo ora le parti essenziali nel nostro sito, perché dall’apologo del bambino disabile messo al centro della classe, discendeva l’idea, ostica alla modernità, che o Dio è messo al centro della vita o non sta da nessuna parte, e che o i poveri si mettono al centro della società o si perdono, ma il mondo si perde con loro. E ne nasceva un discorso che, fatto allo ra, apre uno squarcio sulla situazione di oggi, a partire dalle scelte catastrofiche dell’America che con le armi voleva “estirpare il male” e dal dramma dell’Occidente che dopo avere abbandonato il pensiero della diseguaglianza vi è tornato giungendo a promuovere e a presidiare un mondo che discrimina tra gli eletti e gli esclusi, sia dentro che fuori i propri confini e i propri litorali: un mondo senza più diritto d’asilo.

Contro una politica oggi in atto di elezione e di esclusione pubblichiamo anche una lettera firmata da molti ebrei italiani, “amici di Israele”, al primo ministro Netanyahu perché non espella i rifugiati eritrei e sudanesi.

È anche riportato nel sito un documento di “Noi siamo Chiesa” in cui si chiede un’attuazione non riluttante e avara della legge sul “fine vita”, nonostante le polemiche ancora accese in una parte del mondo cattolico.

Fonte Adista.it

12/02/2018