di Silvia Abbate*
Ho deciso di scrivere questo articolo perché sento il bisogno di dare voce a tutti “noi” che facciamo parte del popolo dei caregiver familiari.
Chi mi conosce sa che lavoro nel campo delle relazioni d’aiuto, ma ora non vesto i panni professionali, scrivo in quanto madre e caregiver familiare di due bambine con disabilità.
Noi caregiver siamo abituati a vivere in assenza dell’essenziale, e a vivere quotidianamente condizionati da limiti fisici e ambientali, tra sedie a rotelle, macchinari per la respirazione e/o per l’alimentazione e barriere architettoniche di ogni sorta. Per non parlare delle mille lotte per l’essenziale (prescrizione degli ausili, prenotazione delle visite mediche, cure farmacologiche, sostegno a scuola ecc.), e dei connessi mille incartamenti burocratici snervanti. Dover rivendicare diritti “a gran voce” ogni singolo giorno, condizione sine qua non per garantire cure adeguate alla persona amata.
Noi che forse ora più che mai possiamo farvi conoscere e comprendere il nostro invisibile mondo e le leggi non scritte che lo regolano.
Mi piace immaginare che potranno essere utili a tutti queste leggi, in questo momento in cui ci troviamo disarmati contro il coronavirus. Anche se noi caregiver partiamo un po’ avvantaggiati, perché le mille prove della nostra vita ci tengono abbastanza allenati e pronti a tutto, anche all’inimmaginabile.
E mi piace immaginare anche che tutto ciò che sta accadendo possa veramente farci uscire dall’ombra, e far comprendere alle persone chi siamo e come viviamo realmente noi caregiver familiari.
Senza falsa modestia, siamo anche un bene sociale. Grazie a noi, infatti, e al tipo di vita che conduciamo, tanta gente potrebbe capire che alcuni dei mille futili problemi che pensa di avere svanirebbero nel nulla se solo lo volesse, se solo passasse con noi anche solo una delle nostre giornate… giornate che viviamo 365 giorni l’anno, senza ferie, senza pause, senza se e senza ma.
Non perché i nostri problemi siano superiori ai problemi degli altri! Aborrisco assolutamente questo genere di paragoni, perché ogni persona conosce la propria vita, e si misura con le proprie difficoltà. Lo dico invece perché i nostri problemi ci fanno capire che le risorse dell’essere umano sono di gran lunga più alte di quelle che pensiamo di avere. E lì dove a volte molti si fermano, c’è accanto una strada alternativa, quella strada che noi caregiver percorriamo praticamente ogni giorno.
Spesso, però, la gente preferisce purtroppo girarsi dall’altra parte quando ci incontra. Penso sempre lo facciano perché non riescono a guardare in faccia il nostro coraggio. Sicuramente non hanno il coraggio di porci delle domande, non sapendo che a noi farebbe piacere. Perché delle nostre situazioni, ne parliamo volentieri.
Ma prima di passare alle tre “leggi” non scritte di cui voglio parlare, vediamo da vicino chi sono i caregiver e qual è il collegamento tra la loro vita quotidiana e ciò che stiamo vivendo oggi a causa della pandemia da coronavirus.
Il cageriver familiare è quella persona che assiste 365 giorni l’anno il congiunto con una disabilità grave, una disabilità che lo priva di autonomia e lo porta ad avere bisogno di assistenza nello svolgimento delle semplici attività quotidiane ventiquattr’ore su ventiquattro (che sia un figlio, un marito/moglie, un genitore, un fratello o una sorella).
Caregiver si diventa per caso, e in tempi molto brevi questo ruolo spinge un familiare (o più di uno) a diventare esperto della problematica che si trova davanti, della gestione e della cura a trecentosessanta gradi della persona amata. Non per scelta, ma semplicemente perché il legame familiare ti spinge visceralmente a farlo.
Tutti noi, individui del popolo italiano, in questo momento della nostra vita stiamo vivendo una situazione simile da nord a sud, da ponente a occidente, è una situazione emergenziale, inaspettata e sulla quale nessuno di noi ha conoscenze pregresse. Ci scopriamo tutti fragili e assoggettati a eventi causati da forze maggiori. Ciò che sta succedendo è qualcosa che si è imposto, e al quale nessuno ci aveva preparati. Una situazione alla quale dobbiamo far fronte trovando in qualche modo le risorse per reagire.
Esattamente ciò che viviamo noi caregiver da quando la disabilità irrompe nella nostra vita, e ci accompagna lungo la strada al fianco dei nostri amati familiari.
Purtroppo, si sa, le cose negative non ci riguardano finché non ci toccano da vicino. Infatti, diventare caregiver ti mostra un mondo che non conoscevi, o che avevi visto solo in minima parte, qualora tu sia una persona particolarmente empatica o sensibile.
Cito una mia amica, Annamaria, anche lei caregiver familiare, che l’altro giorno ha scritto su Facebook una cosa che mi ha colpito molto: «In questo momento così difficile per tutti, per tutte le limitazioni imposte, per la velocità del contagio, per la situazione molto critica della sanità, per il nostro equilibrio instabile… in questo momento così duro psicologicamente siamo diventati tutti disabili». Effettivamente penso che questa situazione avvicini molto il mondo della disabilità e il mondo delle persone comuni.
Ecco comunque le “tre leggi non scritte” dei caregiver, ma valide per tutti!
Legge numero 1: Vivere il presente, giorno per giorno.
La prima regola è quella basilare per potere affrontare una vita come la nostra, mantenendo un accettabile livello di sanità mentale. Focalizzarsi sul “qui e ora”. Ciò vuol dire valorizzare il momento presente e renderlo il bene più prezioso, seppure in condizioni difficoltose e assolutamente non idilliache, perché nulla è scontato.
Paradossalmente la nostra pesante condizione ci spinge ad apprezzare molto le piccole cose che la vita ci offre, cose che in condizioni di normalità generalmente tendiamo a non apprezzare.
Questo atteggiamento diventa anche fonte di felicità, quella felicità che arde negli occhi di molti caregiver che, insieme al profondo dolore, dà vita a una luce che raramente trovi nei volti delle persone comuni. Siamo persone che viviamo molto a contatto con la cruda realtà circostante, e di conseguenza diventiamo capaci di tollerare l’incertezza e le frustrazioni, capaci di cogliere e godere di sentimenti ed emozioni positive generate dai progressi o dal benessere del familiare.
Se la vita stessa è stata messa ripetutamente a rischio, aprire gli occhi tutte le mattine assume sicuramente un altro sapore.
Personalmente posso sostenere che, dopo sei anni che faccio parte di questo mondo, le persone più felici della mia vita le ho incontrate nei centri di riabilitazione. Genitori che amano i propri figli smisuratamente, che amano la vita e le persone, persone che vivono ogni singolo istante.
Purtroppo, anche se suona strano a dirsi, il dolore ci rende persone migliori. Di contro, pensare al passato o al futuro può risultare molto pericoloso e disfunzionale, e scatenare stati d’animo che danneggerebbero molto il benessere quotidiano.
Legge numero 2: La resilienza.
Se ne parla tantissimo ultimamente, ma cos’è la resilienza? È semplicemente la capacità di far fronte in maniera positiva ad eventi traumatici. Esistono diversi gradi di resilienza richiesti dall’ambiente esterno. Per le persone comuni è la capacità di affrontare problemi di vario genere o entità. Per noi caregiver la resilienza è l’ossigeno che respiriamo. Il grado di resilienza che ci richiede la vita è davvero elevatissimo.
Di seguito farò degli esempi in parallelo, ripeto, non per sminuire l’una o l’altra situazione, ma semplicemente per mostrare come la forza d’animo delle persone possa essere quintuplicata dall’oggi al domani solo grazie alle esperienze inaspettate.
Generalmente un certo grado di resilienza è necessario per adattarsi a grossi cambiamenti (come i trasferimenti, la perdita del lavoro, la perdita di un congiunto). Nel caso di un caregiver, il primo contatto con la disabilità corrisponde con il primo momento in cui è richiesto un altissimo grado di resilienza, che ci trova del tutto impreparati.
Ciò che la vita ci richiede si discosta molto dalla norma. Ad esempio, durante la crescita di un figlio generalmente le preoccupazioni di un genitore sono le seguenti: mio figlio sta crescendo bene? Ha tutto? Frequenta le giuste compagnie? Andra all’università? Troverà un lavoro? Per noi caregiver le preoccupazioni sono molto diverse. Sono preoccupazioni tipo: mio figlio imparerà a mangiare da solo? Raggiungerà qualche grado di autonomia? O ancora, mio figlio arriverà alla maggiore età? In assenza di autonomia, che fine farà “dopo di noi”?
Legge numero 3: La potenza del gruppo.
Chi vive un’esperienza simile alla nostra può darci tantissimo. Vivendo situazioni simili si è in grado di accogliersi e comprendersi reciprocamente. È più facile usare canali di comunicazione diretti e immediati, calarci nei panni dell’altro e comprenderlo appieno e, di conseguenza, dare e ricevere sostegno vero e autentico. Si sperimenta la sensazione di vicinanza e si esce dalla dimensione di solitudine che generalmente accompagna qualsiasi tipo di evento traumatico. Nasce così un rapporto intimo e profondo che raramente si sperimenta nei rapporti tra persone.
Queste erano le tre leggi. Ovviamente tutto ciò non è generalizzabile al cento per cento a tutte le situazioni. Naturalmente i tipi di risposta agli eventi stressanti o traumatici sono diversi e soggettivi. Inoltre, è anche vero che queste tre leggi hanno intrinseco un certo livello di auto-attivazione propositiva della persona che non può non avere effetti positivi.
Durante la pandemia da coronavirus viviamo più o meno tutti in assenza dell’essenziale. Per questo spero che questa esperienza diventi un grande valore aggiunto per tutti noi, un momento in cui calarci realmente nei panni dell’altro, un momento in cui smettere di basarci sull’apparenza, e provare a conoscere davvero l’immenso tesoro di cui ogni persona è portatrice. Non importa che questa persona sia un noto professionista, una persona costretta a letto da una tetraplegia, o uno sportivo olimpico, e prescinde dal quoziente di intelligenza della persona. Ogni persona è un mondo, un amore sempre unico da scoprire.
Alla fine, mi auguro che questa esperienza ci cambi tutti, rendendoci persone migliori, noi caregiver, e noi tutti. Me lo auguro soprattutto per quelle persone incapaci di vedere l’altro, il classico omino che ignaro di un mondo a lui sconosciuto, parcheggia puntualmente nel posto per i disabili.
Potremmo dire che è stata una fortuna fare queste esperienze? Di certo no. Chi potrebbe dire il contrario? Ma, nonostante tutto, possiamo vivamente affermare che tutte le esperienze nella vita ci danno qualcosa che prima non avevamo nel nostro bagaglio.
Fonte: Superando.it
08/05/2020