Lo stigma nei confronti delle demenza è ancora alto, ma sostenere malati e famigliari è il primo passo per contribuire a migliorarne la condizione
Il 21 settembre scorso si è celebrata la Giornata Mondiale Alzheimer, ed è stata l’occasione per fare il punto, tra le altre cose, su quanto ancora la situazione sia difficile per famiglie e malati, ma anche per allargare la visuale a tutti coloro che sono o possono essere toccati dalla demenza anche indirettamente: la popolazione tutta. In questo ambito, particolarmente interessanti sono i dati riguardanti un punto di vista spesso ignorato: l’opinione pubblica e l’atteggiamento nei confronti della malattia e della sua gestione. Perché è così importante capire come la demenza viene percepita anche da chi non è malato? Perché è nel nostro intorno che siamo immersi: il fazzoletto sociale che ci circonda rappresenta il contesto che ci può far sentire parte di una società o farci sentire esclusi da essa.
UNA RIVELAZIONE MONDIALE – A fornire una fotografia di questi aspetti è il Rapporto Mondiale 2019, redatto da ADI – Alzheimer’s Disease International, che quest’anno presenta i risultati della più vasta indagine mai condotta al mondo sulle convinzioni e i comportamenti diffusi nell’opinione pubblica nei confronti della malattia di Alzheimer e di tutti gli altri tipi di demenza.
Nonostante si tratti di una rilevazione di respiro internazionale, che ha coinvolto 70.000 persone in 155 Paesi in tutto il mondo, alcuni dati lasciano abbastanza sconcertati, in particolare il fatto che due terzi degli intervistati pensa ancora che la demenza sia conseguenza del normale invecchiamento.
LA PERCEZIONE GLOBALE DELLE DEMENZE – Alcuni altri dati rilevati fanno riflettere:
Il 62% del personale sanitario pensa ancora che la demenza sia conseguenza del normale invecchiamento.
1 persona su 4 pensa che non si possa fare nulla per prevenire la demenza.
1 persona su 5 attribuisce la demenza a sfortuna; circa il 10% alla volontà di Dio; il 2% a stregoneria.
Circa il 50% delle persone con demenza si sente ignorato dal personale sanitario (medici e infermieri).
LO STIGMA E LE SUE CONSEGUENZE – Questi dati sono particolarmente importanti in considerazione del fatto che una cattiva informazione a riguardo può portare a uno stigma verso i malati, con la prima conseguenza che le persone possono sentirsi intimorite dal chiedere anche solo informazioni, ma anche supporto ed assistenza. Ma non è solo questo. Paola Barbarino, Amministratore Delegato di ADI, commenta: “Lo stigma è il più grande limite alla possibilità delle persone di migliorare sensibilmente il loro modo di convivere con la demenza. A livello individuale, lo stigma può minare gli obiettivi esistenziali e ridurre la partecipazione ad attività sociali, peggiorando il benessere e la qualità della vita. A livello di società, lo stigma strutturale e la discriminazione possono influire sull’entità dei fondi da stanziare per la cura e l’assistenza (…)“.
LA PAURA DI AMMALARSI – Stando ai numeri, il 95% dei partecipanti ritiene che potrebbe sviluppare una demenza nel corso della sua vita e più di due terzi delle persone (69,3%) si sottoporrebbero a un test genetico per conoscere il loro rischio di sviluppare una demenza (anche se finora non esiste un trattamento in grado di modificare il decorso della malattia). Ciò significa che il timore di soffrire di demenza è diffuso a livello globale, anche se la malattia è scarsamente conosciuta. Ad esempio, il 48% degli intervistati è convinto che la memoria di una persona con demenza non migliorerà mai, neppure con interventi medici; mentre 1 su 4 pensa che non si possa fare nulla per prevenire la demenza.
UN’EMERGENZA GLOBALE – In questo contesto devono quindi essere intrapresi interventi di maggiore conoscenza e informazione della demenza nelle sue varie forme, anche considerando che le stime prevedono un triplicarsi dei malati nei prossimi 30 anni, arrivando a 152 milioni nel 2050 (oggi sono 50milioni). Oggi ogni 3 secondi una persona nel mondo sviluppa una forma di demenza, ed è la quinta principale causa di morte a livello globale (dato del 2016, mente nel 2000 era la quattordicesima).
Fonte: Disabili.com
15/01/2020