Quando manca l’assistenza: il carico di famiglia e caregiver e il lavoro sommerso

Quando manca l’assistenza: il carico di famiglia e caregiver e il lavoro sommerso

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Un sistema assistenziale in Italia c’è, ma è ridotto al lumicino. Una prestazione costosa, da centellinare. In fondo, c’è la “grande mano” della famiglia

Durante l’ultima trasferta di lavoro di Stefano, ora che cominciano a ripartire per lui i lavori dopo i mesi del Covid, mi sono sentita un albergo. “Questa casa non è un albergo“, ricordate le ramanzine dei nostri genitori? Io mi ci sono sentita. Mancava solo il libro ospiti all’entrata di casa, con tutti i volti che ho visto entrare e uscireSolo che i soldi all’uscita, ero io a darli. È un film visto e rivisto, che potrei intitolare “Hotel Laura”. Dieci assistenti fra ufficiali e private in tre giorni e tre notti.

Il problema dell’assistenza – meglio, della scarsa assistenza – è drammatico. Colpisce la persona, il suo contesto, la sua famiglia o la sua coppia (odio la parola caregiver ma Stefano lo è). Ha colpito anche noi, condizionandoci la vita quotidiana, il lavoro e le attività, il nostro rapporto.

Ho cominciato ad aver bisogno di assistenza domiciliare nel 2017. La carrozzina era ancora qualcosa di “non vitale”, quando volevo mi facevo da sola la doccia, quando potevo, rimandavo a casa volentieri l’assistente. Nel 2018 la disabilità mi ha costretto a cambiare assistente personale (12 ore a settimana con il bando home care premium) perché avevo bisogno di una figura più robusta. Ne avrei fatto volentieri a meno. Ma così non era per una sclerosi multipla progressiva sempre più capricciosa e altalenante. Nel 2019 la disabilità ha continuato a progredire. Nel 2020, anno di grazia del Covid, le n.4 ore (quattro!) a settimana di assistenza Asl sono diventate 12 (l’equipe multidisciplinare non ha potuto che constatare la riduzione drastica della mia autonomia). Mi sentivo graziata: dodici ore di assistenza Asl e qualche ora di assistente personale? Sto di lusso, non tutti hanno una fortuna del genere! Ed effettivamente era, è così. Chissà come sarà in altri territori, altre regioni, altre reti locali di welfare? Penso al sud, tanto per dire. Sì, sono proprio fortunata. E a questo punto, me la devo cavare.

Col tempo pure la caparbietà, un marito che taglia lavori e reddito per starti dietro, una buona cooperativa con le sue operatrici, un’assistente personale precisa e puntuale, non bastano più. Basta poco, un attimo. Un’alzata sbagliata dal letto, le gambe un po’ più spente in bagno, una fatica centrale più violenta del solito, un tronco che non se ne sta dritto, e sei a terra. Le cadute si moltiplicano. Le chiamate d’urgenza ad amici e vicini, anche. E non è solo questione di cadere. Lavarsi, vestirsi, prepararsi i pasti, essere aiutata a mangiare, a cambiare stanza, ogni tanto a uscire: fare qualsiasi cosa da sola diventa impossibile o rischioso. La malattia in questa forma aggressiva non è prevedibile e non consente di pianificare le (ormai) poche ore su cui si può contare. E cosa si fa alla fine? Si ricorre al nero. Conoscenze, annunci, numeri da chiamare, tariffe da concordare, manovre e bisogni da spiegare e ri-spiegare ogni singola volta, assistenti improvvisate ma di buona volontà, non formate, disponibili, reperibili, assenti, in ferie..

Un sistema assistenziale in Italia c’è: ma è ridotto al lumicino. Una prestazione costosa, da centellinare. In fondo, c’è la “grande mano” della famiglia. È quella – nel mio caso Stefano, in tanti altri casi mogli, figli, genitori, e guai se la madre lavora, è lei l’angelo presunto del focolare.., fratelli – la vera rete assistenziale nel Paese, insieme al lavoro sommerso per chi può. Il prezzo che si paga in termini di rapporti, qualità della vita, soldi, sussistenza, è altissimo. Ma non si affronta più il tema. È scontato che sia cosìChi è fortunato, se la cava. Chi non lo è, vede la segregazione e l’isolamento.

Io sono fortunata e ho intenzione di restarlo. Devo solo scambiare due parole con la malattia. Che se ne stia ferma. Che non progredisca più come in questi ultimi quattro anni.
O se proprio gli gira, che rompa le scatole soltanto nelle ore in cui sono coperta.

Fonte: Disabili.com

26/09/2020