«Chiediamo con vigore riconoscimento legale, retribuzione lavorativa e diritti connessi, rappresentatività in ogni sede programmatica, decisionale e operativa»: sono le istanze conclusive del “Manifesto del caregiver familiare”, realizzato già parecchio tempo fa dall’Associazione piemontese GILO CARE, ma che conserva ancora tutta la propria attualità, specie pensando al fatto che resta sempre da approvare la più volte invocata legge sui caregiver, ovvero su coloro che si prendono cura quotidianamente di persone non autosufficienti a causa di gravi disabilità.
Già reso pubblico oltre due anni fa (marzo 2018), ma rimasto da allora sostanzialmente lettera morta, il Manifesto del caregiver familiare realizzato dall’Associazione piemontese GILO CARE conserva tutta la propria attualità, specie pensando al fatto che resta sempre da approvare la più volte invocata legge sui caregiver, ovvero su coloro che si prendono cura quotidianamente di persone non autosufficienti a causa di gravi disabilità.
Riprendiamo quindi qui di seguito i contenuti di quel Manifesto, diviso in tredici punti, e sottoscritto, per conto dell’Associazione GILO CARE, da Lorenzo Cuffini e Gianandrea Mossetto.
Manifesto del caregiver familiare
1) Siamo donne e uomini, cittadini italiani di ogni età, che si occupano, per libera scelta o per necessità, di persone loro care non autosufficienti a qualunque titolo. Siamo quelli che vengono chiamati “caregiver familiari”.
2) Caregiver, perché un termine italiano non esiste: l’unico testo di legge che ci menziona esplicitamente [Legge 205/17, comma 255, N.d.R.] si riferisce a noi in questo modo: «[…] si definisce caregiver familiare la persona che assiste e si prende cura del coniuge, dell’altra parte dell’unione civile tra persone dello stesso sesso o del convivente di fatto […], di un familiare o di un affine entro il secondo grado, ovvero, nei soli casi indicati dall’articolo 33, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, di un familiare entro il terzo grado che, a causa di malattia, infermità o disabilità, anche croniche o degenerative non sia autosufficiente e in grado di prendersi cura di sé, sia riconosciuto invalido in quanto bisognoso di assistenza globale e continua di lunga durata ai sensi dell’articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, o sia titolare di indennità di accompagnamento ai sensi della legge 11 febbraio 1980, n. 18».
3) Siamo orgogliosi e consapevoli dell’unicità e dell’originalità di ciascuna delle nostre situazioni, e non sentiamo il bisogno ideologico di riconoscerci a tutti i costi in una definizione prestabilita. Ma rivendichiamo che nella definizione giuridica che ci riguarda sia attestata e riconosciuta la dimensione pubblica e sociale del ruolo che svolgiamo, ciascuno all’interno del proprio contesto. Talmente evidente che, in caso di nostra rinuncia o scomparsa, del medesimo ruolo è immediatamente chiamato a farsi carico il sistema pubblico.
4) Il riconoscimento nel diritto del nostro ruolo sociale e collettivo è il primo indispensabile passo perché la dignità del caregiver sia affermata e tutelata in ogni sede.
5) Già oggi il caregiver familiare è chiamato, nella gestione quotidiana di una situazione di non autosufficienza cronica della persona di cui si prende cura, a svolgere attività di: assistenza alla persona; assistenza sanitaria, infermieristica, fisioterapica; sostegno psicologico; attività burocratiche, fiscali e previdenziali varie.
Inoltre è chiamato a fungere da cerniera tra la persona non autosufficiente e le strutture sanitarie e sociali. Il tutto a tempo indefinito.
6) Con l’affermarsi degli orientamenti sempre più marcati verso l’assistenza domiciliare, è chiaro che il ruolo del caregiver risulterà ancora maggiormente determinante, fino a diventare insostituibile per il funzionamento della complessa rete di rapporti di cura, di terapie e di assistenza costruito intorno alla persona presa in carico dal sistema, ma mantenuta in casa.
7) Noi non abbiamo timore di questa crescente responsabilizzazione di fatto, né dei volumi di lavoro e di stress aggiuntivi che ne potranno derivare, ma esigiamo che entrambe le cose (responsabilità e lavoro) vengano riconosciute ufficialmente e valorizzate da tutti i soggetti coinvolti e dal sistema nel suo complesso.
8) Richiediamo con forza che la nostra non sia considerata come una “posizione di fragilità” su cui chinarsi con un intervento di sostegno aleatorio, quanto come una posizione di lavoro effettivo, svolto a vantaggio dell’assisitito e contemporaneamente della collettività, a cui sottraiamo un problema e una fonte di costi estremamente rilevante.
9) La nostra attività, dunque, non va “sostenuta” con il capitolo dei sussidi alle fasce deboli, ma va riconosciuta contrattualmente, regolarizzata, normata e retribuita come qualsiasi altra attività lavorativa. Ad essa vanno riconosciuti i diritti base di tutti gli altri lavoratori: retribuzione, contribuzione, normativa previdenziale e antinfortunistica. Con l’avvertenza che si tratta di lavoro usurante, e con gli opportuni accorgimenti da intraprendersi a tutela della specifica situazione.
10) Rivendichiamo che le somme versate a tale titolo, come accade per ogni altra voce retributiva, siano completamente svincolate da forme di verifica sul livello del patrimonio esistente; non è che un qualsiasi altro lavoratore venga retribuito solo se entro certe fasce dell’indice ISEE.
Parimenti, la nostra attività va retribuita in quanto tale, senza essere soggetta ad alcun vincolo patrimoniale e/o reddituale. Cosa che lede i diritti costituzionali di uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge e del lavoro come principio fondante della Repubblica.
11) Vogliamo essere parte in causa nella riorganizzazione dei servizi di assistenza sanitaria e sociale del sistema. Non può esistere né funzionare alcuna rete di domiciliarità, se si prescinde dal caregiver. Offriamo la nostra disponibilità a portare la nostra esperienza insostituibile nella gestione quotidiana domestica della persona con non autosufficienza cronica agli altri soggetti coinvolti: medici, infermieri, fisioterapisti, psicologi. Offriamo la nostra disponibilità a fungere da coordinatori tra il settore del Volontariato e quello delle Istituzioni, troppo spesso frammentati e andanti ciascuno per suo conto.
12) Ci offriamo di essere promotori di una campagna di sensibilizzazione culturale tra la popolazione, gli enti, le strutture sanitarie, sociali e politiche, perché la mentalità cambi e si possa pian piano affermare una cultura nuova della assistenza familiare.
Ci diciamo disposti da subito a collaborare con tutti e a formarci laddove dovremmo essere formati “ professionalmente” al nostro compito.
13) Riassumendo chiediamo con vigore:
° Riconoscimento legale.
° Retribuzione lavorativa e diritti connessi.
° Rappresentatività in ogni sede programmatica, decisionale e operativa.
Fonte: Superando.it
29/08/2020