Vietato l’ingresso al ragazzo disabile: non ha la mascherina. Verso nuove discriminazioni?

Vietato l’ingresso al ragazzo disabile: non ha la mascherina. Verso nuove discriminazioni?

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Il dpcm esonera dall’obbligo i bambini sotto i 6 anni e le persone con disabilità non compatibili con l’uso continuativo del dispositivo. “Ma se non si diffondono formazione e cultura, accade di essere lasciati fuori dal negozio, con un figlio autistico che rifiuta la mascherina e le commesse che ignorano la deroga”. Il racconto (e la proposta) di una mamma caregiver.

ROMA – La deroga c’è, ma manca la cultura: il dpcm che ha fatto “ripartire l’Italia (dpcm 17 maggio) riconosce alle persone con disabilità e autismo, oltre che ai bambini sotto i 6 anni, la possibilità di non usare la mascherina (articolo 9), ma non è detto che questo sia a sua volta “riconosciuto” negli ambienti in cui si entra. O si vorrebbe entrare. Quella che ci racconta Paola Banovaz, mamma di un ragazzo di 11 anni con disturbo dello spettro autistico e gravi problemi comportamentali, è una storia che potrebbe diventare ricorrente nei prossimi mesi: “Il 24 maggio sono andata insieme a lui presso un negozio della catena Kiabi. Mio figlio, come previsto dalla deroga inserita nel dpcm 17 maggio, può non indossare la mascherina. A questo problema si aggiunga che ha difficoltà a sostenere tempi di attesa (coda) e a mantenere le distanze fisiche. Ho tentato di spiegare la questione a ben tre addette del negozio, cercando nel frattempo di non mettere mio figlio in imbarazzo. Malgrado i miei tentativi e la visibile difficoltà che io e mio figlio stavamo vivendo, siamo stati invitati ad uscire dal negozio ‘perché il ragazzo – ci è stato detto – ha più di sei anni e senza mascherina non può restare nel negozio’. Ho più volte spiegato che abbiamo un certificato medico della Asl, che ci dispensa dall’uso di mascherina e che la stessa normativa nazionale esonera dall’obbligo di Dpi non solo i bambini sotto i sei anni di età, ma anche ‘persone con disabilità non compatibili con l’uso continuativo del dispositivo. Ma non c’è stato nulla da fare: mio figlio, senza la mascherina, non poteva entrare”.

Paola Banovaz però non si è data per vinta: abituata a combattere le battaglie dei caregiver familari, in prima linea durante il lockdown per rivendicare il diritto a ‘un’ora d’aria’ per i ragazzi come suo figlio, tornata a casa ha acceso il computer e ha riferito l’accaduto alla catena di abbigliamento tramite mail. “Mi hanno risposto, assicurandomi che sarei stata presto contattata. Intanto, oggi sono nuovamente passata davanti al negozio e ho riferito tutto agli addetti di turno. Si sono scusati per quanto accaduto, ammettendo di non essere a conoscenza di questo particolare deroga e assicurandomi una maggiore attenzione d’ora in poi. Io a mia volta ho proposto di cogliere l’occasione di questa disavventura (essere invitati ad uscire da un negozio davanti ad altri clienti e a mio figlio per giunta) per invitare la catena a lavorare nella formazione del personale e ad una reale accessibilità a tutti i clienti, inclusi quelli con disabilità psicosociale e cognitiva. Credo che solo così potremo evitare che questo particolare momento storico segni il nascere di nuove forme di discriminazione ed emarginazione dei nostri ragazzi. Resto in attesa di un impegno formale in questo senso: un segno simile da parte di un marchio noto sarebbe un buon punto di partenza”.

Fonte: Redattore Sociale

01/06/2020